GIU’ LE MANI DALLA TINTILIA

Abbiamo raccolto da più voci alcune notizie, non belle, riguardanti la Tintilia, il vino testimone assoluto del territorio molisano, quello che ha permesso, con il suo rilancio attraverso l’inserimento nella Doc “Molise”, di dare quella identità, che non aveva mai avuto, la vitivinicoltura molisana e, con essa, il suo agroalimentare.
Un duro e paziente lavoro per riportare alla memoria dei molisani, soprattutto delle aree interne, il vino che, proprio qui, nessuno chiamava vino, ma “tentije”, portato avanti prima da qualche pazzo per la propria terra e poi dalla Università, fino alle prime bottiglie della Masseria Di Majo Norante, che hanno saputo suscitare interesse e attenzioni.
Per poco, visto che era rimasto solo qualcuno a coltivare le vigne di Tintilia. Un successo che porta alcuni viticoltori a vinificare in proprio, togliendo però a Di Majo, in mancanza di materia prima, la possibilità di continuare in questo suo pregevole lavoro di promozione.
A Di Majo si sostituiscono giovani produttori, bravi, che iniziano alla grande la loro avventura, grazie anche al fatto di rendere la Tintilia una peculiarità del Molise interno, nel momento in cui non si può coltivare al disotto dei 200 metri s.l.m..
Un fatto importante per ridare un percorso all’agricoltura del Molise interno, espropriata dalle coltivazioni a vantaggio dei seminativi che, nel tempo hanno portato solo frane, e ciò grazie alle politiche di sostegno al reddito da parte della Ue.
È bastato un minimo di notorietà per questo vino per stimolare appetiti da più parti e rendere il percorso irto di pericoli per quello che stava diventando il motore della vitivinicoltura, e non solo, molisana.
Invece di pensare a come costruire e a rafforzare la sua immagine, per esempio lavorando per il suo riconoscimento di Docg., in modo da inserirlo tra il top dell’enologia italiana, formata da 42 eccellenze in assoluto, che il mondo apprezza e conosce, si opera per sfilacciare questa sua immagine, staccandola dalla Doc “Molise” che, non solo non ha un significato di rilievo, ma porta a far svanire l’ottenimento del riconoscimento della Docg di cui si è parlato prima.
Soprattutto quando si viene a sapere che dalla doc “Tintilia del Molise” si possono ottenere altre tipologie di vino come, spumante o frizzante o passito, che, tutti lo sanno, è una bestialità per un grande vino che, rimane tale, ed ha significato, solo se aumenta il suo prestigio e si rafforza nel suo ruolo di testimone del territorio molisano.
Anche la pretesa che la riserva deve avvenire al di sopra dei 400 m s.l.m. è una banalità, che nessun tecnico può giustificare, ma che fa ridere a pensare che è espressa da quei pochi che hanno le vigne a queste altitudini.
Per l’amore e la passione dimostrati in 20 anni e più di impegno per questo vino, abbiamo il diritto di gridare a chi fa finta di non capire “giù le mani dalla Tintilia”, non te ne impicciare perché è troppo importante per il Molise, il suo territorio, la sua agricoltura, la immagine che può continuare a dare.
E poi smettiamola, una volta per sempre, di trasformare le nostre preziosità in culi di bottiglie che sono da buttare; di farci male da soli, casomai per invidia o per far dispetto a qualcuno oggetto dei nostri pregiudizi.
Bisogna ragionare con uno sguardo al mondo ed al mercato, alla nostra realtà e alle nostre opportunità, nel rispetto, oltretutto, delle regole imposte dalla legge 164 sulle denominazioni di origine, che vuole, non a caso, che il riconoscimento di un vino sia il frutto di una volontà del territorio di origine, un bene pubblico, quindi, e non di uno o più privati.
E la Tintilia, il vino, è un grande, assoluto patrimonio di tutti i molisani.
Pasquale Di lena

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