SAN PARDE E SAN PREMEIANE

 


SAN PARDE E

SAN PREMEIANE


E' passate l'une de nòtte

a campane sóne e s’devallune

San Parde à già saletate San Premeiane

prime che n'abbracce e pu che na s’trette

de mane.


Ze so ditte duie paróle

veloce veloce

n'eccòne p'u calle

n'eccòne p'a s’tanchezze

n'eccòne p'u suonne

ma maggiormènte pe nu delòre

nu delòre de spalle pe nu colpe d'areie

durant'a precessiòne.


"A seletudene-à ditte San Premeiane- è

na brutt'a bes’tie che nen te fa dermì

p'i tropp'a penziere che tì"


"Duorme Nanù - ha respuos'te San Parde- ca

demane è fes’te

è na iernate tos’te se ce s’tà u sòle,

comunque te pu recreià

pe cuant'a gènte te vé e demes’trà

u bbéne,a deveziòne ''


"Pe me ?"

"Pe te Nanù"

''Buonanòtte Pardù.



Encòre n'i capite

ca se tu te facive i fatte tiie

é te ne s’tive nu paèse tiie

a cattédràle mó ze chiàmave

a chiése de San Premeiane,

a precessione ma facève da sule

invéce de campà nu campesante

cóme nu cane sènza nesciune.”

Larino, 26 Maggio



Ci è caduto nelle mani il foglietto che riportava questa poesia in dialetto che, per noi che veniamo dall’Africa, non è stato facile interpretare.

Se abbiamo capito bene il poeta, nel suo dialetto larinese, riporta un dialogo tra il patrono del paese, forestiero arrivato da lontano e subito venerato, al punto di essere trasformato in oro ed argento, e Primiano, localmente detto Nanuccio quale diminutivo di Primianuccio. Un larinese che, con i suoi due fratelli, aveva sposato il cristianesimo e, con la fede nel cuore e la palma in mano, non si era fermato di fronte al potere di allora, fatto di uomini sguaiati, dissoluti, amorali, affamati di denaro; figuri che usavano le divinità solo per giustificare la loro avidità e la loro sfrenata lussuria.

Come tali in difficoltà di fronte a persone umili, forti della parola del Signore e orgogliosi di aver sposato i valori della giustizia, della solidarietà, dell’uguaglianza, del perdono, dell’umiltà, della fratellanza e del rispetto per il proprio simile. Tutt’altro che il potere di allora, che aveva ridotto a schiavitù e chiuso in un carcere l’uomo, il carceriere ancor più del carcerato. Uno squallore, che aveva portato Primiano, Casto e Fimiano a scegliere la strada opposta, quella delle emozioni lasciate dalla parola, dalla natura, dall’amico, dall’amore in senso lato.

Qui una parentesi necessaria, perché non si è mai capito come la Chiesa parla di questi tre fratelli, tutt’e tre santi quali primi martiri, e poi uno solo viene ricordato a Larino, con gli altri due dimenticati, addirittura senza volto e come tali esclusi dalla processione della festa del patrono.

Chiusa parentesi, con la speranza che qualcuno abbia voglia di riaprirla quanto prima, torniamo al poeta dialettale ed alla poesia dedicata a San Pardo e San Primiano, che racconta il dialogo tra i due nobili personaggi, entrambi venerati a Larino, avvenuto il 25 maggio del 2000, subito dopo la conclusione della processione.

Si sente l’aria del padrone che mostra magnanimità e comprensione e di chi, invece, non riesce a tacere la sua amarezza e, perché no, anche un risentimento, minimo ma presente, nei confronti di chi è stato la causa di quell’ isolamento che vive e sopporta con animo cristiano. Ma la sua amarezza vera è nei confronti dei suoi paesani, non tutti per la verità e per fortuna, che hanno mostrato di preferire a lui ed ai suoi fratelli, martiri cristiani, il forestiero venuto da lontano. Tutto qui.

La storia, poi, che fosse sua, più che la frase, la imprecazione “gent’a pèsseme de Larine” è stata solo una delle tante infamie, diffusa da abili banditori al servizio di chi lo voleva screditare e metterlo in cattiva luce nei confronti della gente di cui si sentiva parte e amava, Solo una infamia che, però, ha avuto il potere di una vera e propria maledizione, nel momento in cui è passata tra la sua gente, dalla quale aveva ricevuto il dono dei valori, nel momento in cui il potere li calpestava, dando in pasto ai leoni i poveri cristiani.

U faùneie



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