Pianificare un futuro diverso per continuare a sognarlo.

 di Pasquale Di Lena
Il dato più drammatico di una realtà, già di per sé drammatica, è la manifestazione di una carenza crescente di
risorse naturali di fronte ad una popolazione mondiale in continuo aumento. Siamo arrivati, in poco tempo, a 7,5 miliardi di donne e uomini che viviamo su questo pianeta e, fra qualche anno, saremo 8 miliardi per arrivare ad essere 10 miliardi nel 2050. Arrivarci con tutti i problemi che questa crescita comporta in fatto di cibo, di stato e conflitti sociali e politici, di problemi ambientali. In pratica il bisogno di terra fertile da coltivare per produrre cibo che serve a sfamare miliardi di bocche e, purtroppo, non tutte, con il rischio di vedere aumentato il numero di persone che ogni anno vivono e muoiono di fame.

Non a caso, si fa sempre più insistente la caccia al territorio africano da parte delle grandi concentrazioni finanziarie per dare una risposta al forte bisogno di cibo.

Non a caso, con l’inizio del terzo millennio, ha preso il via l’aumento dei prezzi dei beni alimentari a significare l’aumento della domanda e, con essa, della speculazione, in considerazione anche del fatto che i mercati emergenti, che si confrontano con il vecchio potere economico e politico, sono diventati luoghi di crescita di decisioni economiche e politiche con i consumi che sono schizzati in alto, purtroppo sull’esempio più sbagliato qual è quello del consumismo e dello spreco.

Non a caso la crescente crisi della nostra agricoltura a livelli di insostenibilità da parte dei nostri produttori ad affrontare le insolvenze contratte con le banche che, di fatto, hanno nelle loro mani la stragrande maggioranza delle aziende agricole italiane, anche e sempre più indebolite dall’età dei protagonisti e dalla mancanza di ricambio da parte dei giovani. I dati parlano di 50 aziende  contadine che chiudono ogni giorno in Italia, nella quasi totalità piccole e medie aziende nelle mani di coltivatori.

Una situazione grave che a me, non da oggi, ha fatto pensare ad un ritorno al vecchio latifondo nel senso di un accorpamento delle superfici aziendali da parte delle concentrazioni finanziare con i coltivatori trasformati in braccianti, utili, con la loro esperienza e sapienza, a dare una risposta alla domanda di cibo, in questo caso di qualità, sfruttando tutto il lavoro fatto fino ad oggi per il riconoscimento delle nostre eccellenze Dop e Igp.

Tutto è venuto fuori con la grave crisi che ha segnato l’agricoltura italiana nel 2004. Una crisi strutturale che ha anticipato la crisi economica del 2007/8, mai affrontata per essere risolta. La crisi del 2004 della nostra agricoltura  è stata solo la prima delle scosse che servono a raggiungere questo obiettivo di acquisizione delle aziende agricole ridotte alla disperazione. Altre ce ne saranno se non si trovano le soluzioni adeguate a contrastare questo disegno ed a respingerlo al mittente. Soluzioni che non possono essere il chilometro zero o prodotto tutto italiano, che sono solo palliativi, anzi,  - se me lo posso permettere - piacevoli sollecitazioni per le concentrazioni finanziarie, che ringraziano per lo stimolo al loro buon umore.

Nelle tante noti, da me scritte e pubblicate, ho messo in evidenza la necessità di dare alla centralità dell’agricoltura ed alla sua attualità la forza dell’altra centralità e attualità, il clima, per rendere ancor più possente il perno su cui far ruotare l’economia, che ha come sua base portante il rispetto. Il rispetto del territorio, dei valori e delle regole fondamentali per la crescita civile e democratica, la pace tra i popoli.

Il rispetto anche quando vado, come nel caso di questa nota e di quelle precedenti, a rimarcare la critica ad un sistema, il neoliberismo, che, con il suo totale fallimento e la mancanza di iniziative tese a tracciare un cammino nuovo, sta alimentando rischi di ulteriore impoverimento delle risorse. In particolare dell’agricoltura e dell’ambiente, e non solo, anche, dell’insieme delle risorse del territorio con l’abbandono dell’ingente patrimonio culturale; l’attacco alla scuola ed all’università, alla ricerca ed alla cura delle innovazioni, cioè delle priorità che servono ad alimentare la conoscenza.

Bisogna dare fiducia alle nostre radici ed alla nostra identità, credere nelle enormi potenzialità che questa fiducia può sviluppare nel momento in cui ognuno torna a partecipare alle decisioni ed a far rivivere il rispetto, quale prioritario valore per il rilancio del dialogo, come pure forma di approfondimento e di conoscenza.

Bisogna affidare ai sogni - quali stimoli, azioni, fatti - la costruzione di un domani capace di dare le risposte che l’oggi non è più in grado di dare, in mancanza di una discontinuità. Un domani che è dentro il cuore e la mente di chi è incantato dalla natura e dalla creatività che essa esprime; riconosce il tempo e ne misura i passi; osserva il cielo stellato e il mutare della luna, per raccogliere segnali; sente i venti arrivare; guarda il volo degli uccelli e si lascia accompagnare dai silenzi.

Ciò è possibile grazie al Dna, che ha tutto registrato nel corso di anni, spesso millenni. Un Dna che nessuno mai potrà inventare. Basta affidare a questi uomini la gestione delle scelte di uno sviluppo che ha nell’agricoltura il suo perno, per avere una serie di risultati positivi congiunti nel campo di una riconversione dell’economia all’insegna della sostenibilità: un’agricoltura biologica, organica e rigenerativa per un rilancio dell’azienda coltivatrice e delle sue enormi potenzialità nel campo delle coltivazioni e dell’allevamento, della cura del territorio; una minore cementificazione del territorio e un maggiore rispetto per l’ambiente che, per l’economia dello spreco, ha sempre avuto scarso o nullo valore; l’avvio di un dialogo per la costruzione di un rapporto solidale reciproco tra mondo rurale e mondo urbano; una risposta pronta al bisogno di occupazione e di lavoro, soprattutto da parte dei giovani, con la organizzazione di un’offerta di prodotti garantiti nella qualità e tipicità, e, di ospitalità per consumatori particolari che la globalizzazione mette a disposizione del mercato.








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