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Tintilia inedita


intervista di
Tintilia inedita

Pasquale di Lena racconta la “riscoperta” del più celebre vitigno autoctono molisano


Il Molise da qualche anno ha rilanciato il territorio grazie a politiche di sviluppo sostenibile che hanno riacceso i riflettori su vitigni autoctoni dimenticati, portando ad un incremento economico del settore sia in Italia che all’estero. La Tintilia rappresenta senz’altro il miglior risultato di questo processo, una riscoperta che parte da lontano: ne abbiamo parlato con Pasquale di Lena, molisano Doc, per metà toscano, visti i quarant’anni trascorsi presso l’Enoteca Italiana di Siena. E’ lui a spiegarci come il suo nome sia legato alla Tintilia.

Pasquale Di Lena

Lei è di orgine molisana, anche se ha vissuto qurant’anni in Toscana. A Siena ha ricoperto l’incarico di segretario Generale dell’Ente mostra Vini-Enoteca italiana.
“Un molisano che deve alla Toscana la sua formazione, le tante belle esperienze vissute, sia umane che professionali. Sì, una grande e bella avventura a fianco di presidenti attenti, capaci e tanti bravi collaboratori che hanno saputo organizzare e far conoscere la grande squadra dell’Ente Vini-Enoteca. L’ istituzione più prestigiosa nel campo della promozione del vino e dei suoi territori ora, dopo 95 anni, è stata chiusa. Un vuoto, nel momento in cui il vino e l’agroalimentare italiano hanno un forte bisogno di strutture e di professionalità capaci di sostenere le strategie di marketing e renderle vincenti, a partire dalla comunicazione”.
E’ proprio il soggiorno senese e il lavoro a contatto con il mondo del vino italiano, i suoi territori più rinomati, le importanti Doc toscane che lo hanno portato a riflettere sulla realtà vitivinicola molisana e la riscoperta della Tintilia. Com’è avvenuta questa rinascita?
 “E’ proprio così, parte dall’Enoteca la mia “voglia di Tintilia”, il vino molisano per eccellenza, quello che bevevamo durante i pranzi in famiglia o durante le feste: ricordavo il suo sapore, il profumo. Per me era il Chianti del Molise. Questa mia passione è poi divenuta comune e fatta propria da amici come Enrico Colavita e Ro Marcenaro e, successivamente da Michele Tanno, che è andato a cercare le ultimi viti di Tintilia rimaste nei territori intorno al capoluogo regionale, a Campobasso. Inoltre è stato importantissimo l’impegno del prof. Massimo Iorizzo dell’Università del Molise e dell’Ente di Sviluppo, che ha condotto delle ricerche per conoscere i caratteri salienti di questo vino, oggi divenuto una Doc e un grande testimone di questa mia terra”.


Quali sono stati gli sviluppi successivi al suo inserimento, in un primo momento nella Doc “Molise” e, poi, nel 2011, il riconoscimento della nuova doc “Tintilia del Molise”?
“L’obbligo, inserito nel disciplinare, di coltivare la “Tintilia” non al disotto dei 200 m.s.l.m, la sola possibilità di una nuova espansione della vite nelle aree proprie della “Tintilia”, e, il consiglio dato ad alcuni dei viticoltori di non esagerare nelle tipologie di vini espressi da questo vitigno, ricordando che Tintilia sta per tinto, cioè rosso e che spezzettare questa sua immagine avrebbe confuso il consumatore”.

I giovani produttori molisani hanno contribuito a mettere in luce la Tintilia, cosa manca per la sua definitiva affermazione?
“La vitivinicoltura molisana è, dall’inizio del terzo millennio nelle mani di giovani imprenditori, molti sono donne. Ciò fa credere nella crescita e in un domani migliore dell’oggi, soprattutto nel momento in cui la motrice Tintilia conquisterà il mercato e un numero sempre più alto di consumatori”.
Quale potrebbe essere oggi per i vini molisani la strada giusta da percorrere?
“La costituzione del Consorzio di tutela “Tintilia” è un fatto importante anche per il resto della vitivinicoltura molisana. Però tutto ciò non basta, soprattutto se continua a passare una cultura, pubblica e privata, che non pone al primo posto il mercato, il luogo dove si afferma l’immagine e il rapporto con il consumatore e dove si crea il reddito del produttore. Il Molise avrebbe bisogno di una sua Enoteca, di una o più strade del vino che funzionano e non sono sulla carta, di una programmazione delle iniziative e, soprattutto, di una strategia di marketing, per evitare costose e perdenti improvvisazioni”.
Lei è un esperto di marketing. Dal suo punto di vista che importanza hanno storia e cultura nel racconto di un vino? Stiamo comunicando nel modo giusto e corretto il valore inestimabile dei nostri territori?
“Il racconto e la qualità del prodotto sono fondamentali. Il racconto del territorio, con la sua storia e la sua cultura, le sue tradizioni, servono e fanno capire che quel vino, o quel prodotto, lo rappresenta, ne è testimone, simbolo. Serve anche il racconto del lavoro che ha prodotto quel vino. La qualità è nell’origine, il territorio, che, per esprimersi, ha bisogno dell’intelligenza e dell’impegno di chi lo vive e lo lavora. E’ la cultura che apre ogni porta del mercato”.

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