Agricoltura italiana: Fine o inizio di un sogno?

 di Giorgio Scarlato

il settore agricolo nazionale, contadini compresi, visto nell'ottica produttiva è più morto che vivo. Pensare, lottare nel poter cambiare qualcosa, in ultima analisi è servito a poco, forse neanche a sognare. Quello che è avvenuto negli ultimi 15 anni nel nostro Paese nei confronti del mondo agricolo è impressionante, sa dell'inverosimile.
Ministri, forse l'ultimo, quello vero, è stato Giovanni Marcora (l'uomo del fare), e rappresentanze sindacali non hanno rappresentato che solo chiacchiere.
Forse a quello che dicono non credono manco loro.
Un mondo agricolo per sempre diviso (voluto) in balia del... chi può arraffa e "usato, depredato e svenduto," sempre come merce di scambio per altri fini dalla politica; da tempo immemore a vantaggio della speculazione finanziaria. 

Una puntualizzazione.
Le importazioni nel 2015, sempre maggiori, hanno riguardato il 56% di latte, il 45% di grano duro, il 73% di grano tenero, il 60% di carne bovina, il 66% di carne suina e salumi,  il 76% di olio d'oliva, etc mentre alcune nostre produzioni in buona parte restano a marcire nei campi o, come quest'anno per il grano duro a causa del prezzo basso (15-17 euro) tanti, molti appezzamenti non verranno seminati, quindi non entreranno in produzione, andando così a sommarsi ai già non produttivi 700.000 ettari circa degli anni scorsi.
Si può lavorare ancora così per poi rimetterci?

Quando  "i soloni" parlano di ripresa del settore, di trend positivo o di PIL agricolo forse  pensano di parlare di realtà o riferimenti che non rasentano minimamente la nostra nazione o, sbagliando, corrispondono si all'aumento ma dei debiti accumulati dei contadini.
Ma si rendono conto del prezzo del grano duro ai minimi storici (prezzi di 30 anni fa) del prezzo del latte, dell'olio di oliva, delle barbabietole da zucchero (ormai fuori produzione), delle pesche, delle arance, del pomodoro da industria? Colture che non riescono minimamente a pagare manco i costi per produrle!
Provengono da altri Paesi a prezzi stracciati, di dubbia salubrità vista le loro normative fitosanitarie  meno restrittive delle nostre,  dei costi di produzione e dei differenti oneri previdenziali.

Una tonnellata di pomodoro triplo concentrato cinese, di media qualità, costa all'importatore italiano 500/600 euro a tonnellata. Arrivata in Italia e si concretizza in ben otto tonnellate di concentrato italiano; a detta di alcuni interessati  risulta essere perfino un anticancro. Il concentrato nostrano costa dai 1.100 ai 1.200 euro a tonnellata.
Come si può competere in tali condizioni? Si può parlare di concorrenza leale visti i diversi parametri di confronto su accennati?
Ma di cosa parlano quando si riferiscono a redditi aumentati per gli agricoltori?  Forse a quelli europei, non certo a quelli italiani.
Quando parlano di Pil agricola (produzione interna lorda) o dati ISTAT di segno positivo per caso si riferiscono a quei parametri "all'italiana" dove, chi mangia cinque polli, chi ne mangia uno, chi nessuno, alla fine gli italiani hanno mangiato due polli a testa?
Ma di cosa si sta parlando? Quale crescita? Si sono accorti che da anni ci sono aziende agricole, grandi o piccole che siano, che giornalmente chiudono? O, quelle svendute o, peggio, quelle "trattate" per pochi spiccioli alle aste, nelle stanze dei tribunali?
Questa è la realtà. Basti pensare che dall'anno 2000 al 2010 hanno chiuso i battenti ben il 32%. Oggi è peggio.

Questa è l'agricoltura nazionale, lasciata sola in balia  delle derrate importate a prezzi, per noi, da dumping o della presunta salubrità delle stesse (ad es. il grano canadese o americano seccato col glifosato).
Si è di fronte ad una guerra commerciale di livello internazionale e peggio sarà con il TTIP agricolo, un patto scellerato che i nostri vogliono pure accettare, dove il settore agricolo italiano rischia di essere espropriato del bene-terra e la nazione stessa vedersi rubare addirittura la sovranità alimentare.
Questa è la tanto agognata competitività globalizzata, gareggiando ad armi impari? Quando "gli specialisti" disquisiscono nei convegni, nei tavoli di concertazione di crescita agricola a cosa si riferiscono? 
Sanno degli indebitamenti, della insopportabilità contributiva previdenziale INPS, dei tributi-capestro sempre più esosi ed inacettabili dei consorzi di bonifica visti nel rapporto costi-benefici, dei costi di produzione? Dov'è questa tanto conclamata "uscita dal tunnel", della vitalità delle aziende agricole, della loro redditualità?
Per caso, per ripresa s'intende ri-prendere, alias spennare ancora fino al punto tale che l'azienda viene ripresa per debiti accumulati dagli sciacalli-prenditori o dall'Equitalia?

La verità, sfortunatamente, è che il settore è in costante sofferenza e continua a confrontarsi in maniera impari senza alcuna tutela, con grandi difficoltà e problemi lontani anni luce dall'essere almeno dibattuti. I volponi stanno depredando il Made in Italy senza che qualcuno faccia qualcosa, nel silenzio più assoluto, dovuto forse a complicità, scarsa volontà ad imporsi, sudditanza, menefreghismo. Certo è che il problema resta.
Logica conseguenza è poi il falso made in Italy, gli Ogm (che tra qualche anno verranno imposti come le sementi brevettate), la filiera corta (come la tela di Penelope: si parla per poi concretizzare nulla), i bluff del primo insediamento e dei PSR (piano di sviluppo rurale), la cooperazione, le OP (organizzazioni dei produttori).

Di autocritica istituzionale nemmeno l'ombra. Tutti autopromossisi a pieni voti.
In Italia criticano la politica UE mentre a Bruxelles l'assecondano. Quando devono difendere provvedimenti utili alla nostra agricoltura restano zitti o fanno finta di dire qualcosa. Diventano solidali quando votano a favore delle importazioni di derrate extraeuropee, concorrenziali alle nostre produzioni mediterranee. Ad esempio, il grano duro importato dal Canada non paga tasse di entrata in Italia; al contrario della nostra pasta esportata nello stesso Canada che sopporta la tassazione dell'11%.
Coerenza italica con accordi bilaterali a nostro svantaggio. E questo per tante altri prodotti.

Il mondo agricolo, quello vero e non quello di Oscar Farinetti, sta morendo e proseguendo su questa strada non si potrà che assistere ancor di più alla consegna delle aziende a personaggi che  avranno  lo scopo di sfruttarle assoggettandole al land grabbing e all'italian sounding.
Vedere i sacrifici di generazioni andati in fumo è la cosa peggiore che possa capitare  ad un contadino perché, dopo la famiglia riversa il suo amore per quel "suo" pezzo  di terra, grande o piccolo che sia. Dispiace dirlo: è la sua sconfitta ma senza colpa alcuna.

E' ora di svegliarsi facendo presente, e altri devono ricordarselo, che l'agricoltura con i suoi contadini custodi della terra, non è solamente produttrice di cibo ma sentinella a presidio del territorio, a salvaguardia della biodiversità e a tutela dell'ambiente per l'intera umanità.
Valori, intesi come bene comune. E, di questi tempi, non è poco.

E' ora che in Italia si applichi la clausola di salvaguardia utile, qualora un prodotto sia importato in quantità tali da provocare prezzi in dumping, a tutelare i produttori nazionali dalle gravi distorsioni di mercato e alla loro economia, adottando misure idonee al punto tale da arrivare al blocco delle importazioni.

Il sogno.
Creare un'alleanza strategica e trasparente tra contadino, produttore di cibo salubre, e consumatore informato, attento negli acquisti, in modo tale da favorirsi entrambi. Strada utile, poi, per stimolare la politica, quella attenta, a far quadrato, a prenderne atto ed operare di conseguenza per la tutela del vero made in Italy, a garanzia quindi del valore aggiunto produttivo, garantito dalla tracciabilità ed etichettatura.
La salute è prioritaria, difendiamola. E questo, per il bene di tutti.


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