Tutti i soldi europei che l'Italia butta via

L'articolo,  che ritengo giusto postare per riflettere insieme sulle mancate occasioni, mi è stato inoltrato dagli amici del Canada. So che fa rabbia pensare a quanti progetti persi e a quanti giovani potevano essere occupati per predisporli e realizzarli. In un Paese clonato da Berlusconi il rischio, sempre più evidente, è proprio quello che ci si abitua alla menzogna, alla demagogia, al populismo, al furto, cioè a disvalori che portano a rendere tutti uguali. Il caos che distrugge e non permette di costruire il futuro.
Una montagna di soldi sprecata. Quarantatre miliardi di euro, per la precisione. Sono i danari dei fondi strutturali europei che finora l’Italia non è riuscita ad investire e che alla fine del 2013 non potrà più utilizzare. I calcoli sono presto fatti, ci ha pensato la Tesoreria dello Stato. Per il periodo che va dal 2007 al 2013, a favore del nostro Paese, sono stati stanziati 59,4 miliardi di euro e al 30 giugno 2012 ne erano stati spesi soltanto 16,1. Una miseria, distribuita, perlopiù, nelle ragioni meridionali.
Ma cosa sono i fondi strutturali? Si tratta di fondi finanziari messi a punto dalla Comunità europea per cofinanziare gli Stati membri dell’Unione ma anche specifici interventi a favore di singole regioni, come il caso della Sicilia, in Italia. L’obbiettivo di questi fondi è quello di favorire la politica economica di coesione, quindi prevedono la distribuzione di risorse finanziarie nel rispetto di una programmazione che viene spalmata su più anni: l’ultima riguarda il periodo 2007-2013. Ce ne sono diversi tipi: i Fondi europei strutturali, i Fondi sociali europei (FSE) per favorire l’occupazione, i Fondi europei strutturali agricoli (FEAOG) a sostegno della politica agricola dell’Unione, e lo Strumento finanziario di orientamento alla Pesca (SFOP).
In Italia, questi soldi, vengono spesi male. Sicuramente anche per colpa della scarsa capacità progettuale delle amministrazioni locali o comunque per qualche, usuale, malfunzionamento della politica. Nonostante le buone intenzioni del ministro della Coesione territoriale, Fabrizio Barca, che ha attivato un sito web, Open Coesione, per poter controllare lo stato di avanzamento dei 473mila progetti avviati. In Europa, l’Italia è al terzo posto tra i Paesi che ricevono più soldi da Bruxelles (dopo Polonia e Spagna) e al secondo tra quelli che li usano di meno (prima la Romania). Inoltre l’Italia è un contribuente netto al bilancio comunitario: ha versato nelle casse europee più di quanto sia tornato indietro. O meglio, più di quanto sia stata capace di utilizzare, sfruttando i fondi strutturali.
Un problema che si rinnova ogni anno, senza che venga mai, definitivamente, risolto. Di “grande spreco per non usare soldi che potrebbero far crescere il sud” e di “imbarazzo”, ne parlava già nel 2000 l’allora presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi. In dodici anni, poco o nulla è cambiato. E per rendersene conto, basta buttare un occhio all’esempio (negativo) offerto dalla Sicilia. Tra luglio ed agosto, per l’ennesima volta, scoppia l’allarme sui fondi strutturali siciliani: l’Unione europea ha deciso di congelare 600 milioni destinati alla regione siciliana. Sì perché nel periodo 2007-2013, nell’ambito del Fondo europeo per lo sviluppo regionale (FESR), per la Sicilia sono stati previsti oltre 6,5 miliardi di euro, di cui la metà proveniente dall’Ue.
Trattandosi di soldi pubblici, però, pare scontato che ci sia una sorta di vigilanza su come queste risorse vengano spese. La Commissione europea ha un obbligo di controllo. Che negli anni si è affinato, passando da una tornata “a campione”, ad una serie di verifiche più strutturali. In fondo si tratta di soldi di tutti. E grazie a questa nuova impostazione, anche la Baviera, la Cornovaglia e l’Andalusia sono finite sotto la lente dell’Esecutivo europeo. Il motivo? Carenze significative dei sistemi di gestione, gravi irregolarità non rettificate nelle dichiarazioni di spesa, giustificativi sballati. In questi casi la Commissione può congelare il finanziamento. Interrompere l’afflusso di moneta fino a quando la situazione non venga sanata. Solitamente il blocco dura sei mesi, ed è toccato, in passato, anche alla virtuosa Germania, Austria, Francia e Paesi Bassi. Pure la regione Campania ha subito lo stop. Ma tutti sono riusciti a sistemare la loro posizione entro il termine fissato, e a percepire tutti i soldi pattuiti. Tranne la Sicilia.
La regione siciliana è stata avvisata: rimangono ulteriori due mesi per risolvere i problemi. Sennò addio soldi. Finora la Sicilia ha richiesto pagamenti per 600 milioni. Si corre il rischio di un blocco che potrebbe arrivare a sfiorare 1,4 miliardi di euro, se si considera che i fondi impegnati, alla data del 29 febbraio 2012, sono circa 2,7 miliardi (sui quasi 6,5 totali) e che, anche in questo caso, il contributo dell’Ue si aggira attorno alla metà. Ad oggi in Europa, per quanto riguarda i fondi strutturali, si contano due sospensioni, tra cui anche quella della Calabria. Qualche tempo fa, Raffaele Lombardo, ha derubricato alla voce “adempimenti di carattere tecnico” i rilievi della Commissione europea. Sta di fatto che se la Sicilia, entro la fine dei due mesi extra concessi, non dovesse convincere la Commissione, davvero rischia di perdere la parte restante dei fondi.
Quello siciliano è un esempio, l’ultimo in ordine di tempo, di come l’Italia sia incapace di usare al meglio le risorse messe a disposizione dall’Eurozona. Con la conseguenza, spiacevole, di arrivare a versare più soldi di quelli che tornano indietro.
La Corte dei Conti, nella sua relazione autunnale dello scorso anno, parlava di circa 28,8 miliardi di euro messi a disposizione dall’Europa, tra il 2000 e il 2007, attraverso il Fondo strutturale di sviluppo regionale (FESR), insieme al Fondo sociale europeo (FSE). La programmazione degli interventi di questi due Fondi ha fatto, peraltro, registrare significativi ritardi iniziali, che hanno richiesto l’adozione, a livello nazionale ed europeo, di iniziative mirate ad accelerare l’attuazione. Perché, diversamente, il rischio è sempre lo stesso. Basta finanziamenti Ue. E l’Italia, incapace di programmare opere che poi si concludano nei tempi prestabiliti, continua a percorrere la strada sbagliata.

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