Dio è morto o siamo noi a non cercarlo più?
di Umberto Berardo
Già Dietrich Bonhoeffer nel 1944 avvertiva il fenomeno di una certa a-religiosità del tempo in cui
viveva perché in una delle sue lettere dal campo di concentramento di Flossenburg scriveva
profeticamente: “Stiamo andando incontro a un tempo non-religioso”.
Il cammino dell’umanità sta attraversando un’epoca segnata da una crisi economica, culturale ed
etica senza precedenti che dà luogo a conflitti sociali, guerre e catastrofi climatiche esaltando a tal
punto l’ego da mettere in discussione verità e valori, ma anche il concetto di persona e dei suoi
diritti a partire da quelli alla vita e alla libertà.
Il crollo di molti principi e valori in una secolarizzazione che fa spazio solo a un individualismo
esasperato e al totem del denaro sta erodendo sistematicamente lo stesso pensiero cristiano e
soprattutto ogni forma di spiritualità, un elemento essenziale dell’esistenza che in particolare nel
mondo occidentale sembra non trovare più risonanza alcuna non solo in chi non crede ma anche tra
chi ha fede.
Le persone da assumere come esempio non sono più quelle che si dedicano con altruismo al bene
comune, ma coloro che usano l’intelligenza per fare profitti e arricchirsi.
Viviamo anche una crisi profonda della democrazia costituzionale e rappresentativa al punto che
molti ormai sembrano propensi ad accettare le nuove dittature culturali, ideologiche, politiche,
scientifiche e tecnologiche rinunciando a ogni libertà di ricerca della verità sul valore della vita.
Credo che le promesse transumaniste della Silicon Valley votate all’utilitarismo egocentrico non
possano essere una speranza accettabile per il futuro della civiltà perché, come sosteneva
giustamente Immanuel Kant nella “Critica della ragion pura”, le dimensioni della nostra esistenza
sono quella orizzontale nel fluire della vita e dei suoi aspetti che cerchiamo sempre di migliorare e
l’altra ovvero quella verticale che prevede la ricerca di un senso e la realizzazione di un fine.
In tale contesto, capovolgendo l’immagine della creazione e della salvezza, c’è anche chi si
costruisce una propria idea di Dio che viene disegnato come un idolo funzionale alle esigenze degli
esseri umani e perciò molto somigliante alla proiezione della loro rincorsa verso l’appropriazione
totalizzante su tutto.
Tale perdita di significato su ciò che sta qui sulla Terra e oltre l’umano genera un modo di
concepire la vita racchiuso oggi banalmente nell’adorazione idolatrica del denaro e della ricchezza e
ciò in generale connota una nuova forma di materialismo incapace di dare un senso accettabile
all’esistenza.
Non riconoscere più Dio nella relazione personale e comunitaria con Lui, nelle persone, negli
incontri e nelle vicissitudini, rimettendo al centro di tutto i concetti della condivisione e dell’amore,
sta generando nell’Occidente il fenomeno della scristianizzazione che mi lascia pensare
all’annuncio di Friedrich Nietzsche della “morte di Dio” già a fine Ottocento nell’opera “Così parlò
Zarathustra”.
Non è certo la prima volta che il Cristianesimo vive una simile crisi.
È accaduto con la Riforma protestante nel 1500, poi nella metà del XVII secolo con la
diminuzione del ruolo politico del papato e le continue fratture di carattere dottrinario del
Conciliarismo, nel Settecento con il Giansenismo e poi ancora nell’età moderna quando parte della
borghesia, pur continuando a osservare la gran parte delle norme della Chiesa cattolica, ne
abbandonò le posizioni più intransigenti sul piano morale; d’altronde il Razionalismo e
l’Illuminismo avevano spinto alla ricerca di maggiore autonomia di pensiero rispetto alle epoche
precedenti.
Già nella “Gaudium et spes” di papa Paolo VI del 1965 si denunciava al n. 43 che “la
dissociazione che si constata in molti, tra la fede che professano e la loro vita quotidiana, va
annoverato tra i più gravi errori del nostro tempo”.
È sicuramente questa una delle ragioni fondamentali della secolarizzazione verso la quale si sono
incamminati l’Europa e in generale tutto l’Occidente.
Mentre nel mondo i cattolici aumentano dell’1,15% nel 2024 rispetto al biennio precedente, in
Africa la crescita è del 3,31%, in America appena dello 0,9%, in Asia dello 0,6% e in Europa solo
dello 0,2%.
Il fenomeno presenta aspetti articolati.
La crisi è esterna alla Chiesa da parte di quanti ignorano il Cristianesimo, lo sentono estraneo
alla propria vita e comunque lo giudicano come qualcosa di cui è inutile occuparsi; c’è poi quella
interna di chi dice di non credere più, di quelli che fanno una scelta tra le verità e le norme da
condividere e osservare non accettando alcune decisioni della gerarchia e infine di quanti riducono
la fede a un fatto privato assolutamente ininfluente nello stile di vita, nella sfera ecclesiale e sociale
o si sentono attratti da nuove forme di religiosità ritenute più vive ed emozionali.
Questa scristianizzazione si manifesta per alcuni analisti principalmente nella forte riduzione
della pratica dei riti e del culto ma anche nell’abbandono di molti principi e valori della tradizione
cristiana.
Papa Leone XIV subito dopo la sua elezione nella prima celebrazione eucaristica con i cardinali
elettori ha affrontato questo tema.
Partendo dal Vangelo di Matteo in cui Gesù chiede agli apostoli cosa afferma la gente sulla sua
identità, il nuovo Papa ha affermato che, come hanno fatto i discepoli di Cristo durante la sua
passione e morte, anche oggi tanti non credenti ma anche i battezzati riconoscono nella sua persona
solo un uomo magari retto e onesto riducendolo unicamente a un leader carismatico.
Ha poi aggiunto che ci sono ambienti in cui si preferiscono altre sicurezze per l’esistenza come
la tecnologia, il denaro, il successo, il potere, il piacere.
In questi casi non è facile secondo il Pontefice testimoniare quanto è invece essenziale ripetere da
parte di chi ha fede: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16).
Anche papa Leone XIV dunque ha immediatamente sottolineato l’aspetto più preoccupante del
nostro tempo che è il venir meno della spiritualità e del riferimento alla centralità della fede che
sono il rapporto con Dio e la sua Parola.
Egli ha perciò precisato; “Eppure, proprio per questo, ci sono luoghi in cui urge la missione,
perché la mancanza di fede porta spesso con sé drammi quali la perdita del senso della vita, l’oblio
della misericordia, la violazione della dignità della persona nelle sue forme più drammatiche, la
crisi della famiglia e tante altre ferite di cui la nostra società soffre e non poco.”
Certo anche scelte talora storicamente errate della Chiesa cattolica non hanno contribuito a
diffondere e rafforzare il messaggio evangelico, la fede e la spiritualità.
Proviamo ora a riflettere sugli indici di un tale mutamento.
Si diffonde anzitutto una laicizzazione progressiva con concezioni e prese di posizioni ormai
molto lontane dalla Bibbia e in contrasto con la tradizione cristiana in ordine al modo di concepire
l’esistenza su temi quali il rapporto tra Stato e gruppi sociali, la gestione dell’economia e della
redistribuzione della ricchezza, il fenomeno delle migrazioni, l’idea della sessualità, della famiglia,
della procreazione, della vita, della morte e della possibilità d’intervento dell’essere umano sui
propri simili.
Non è solo la pratica quindi che sta diminuendo, ma a mio avviso sono in dissolvimento il senso
religioso della vita e la stessa cultura cristiana come sostiene giustamente Olivier Roy nel suo
saggio “L’Europa è ancora cristiana?” edito nel 2019 da Feltrinelli.
Forse anche questo ha portato l’Unione Europea al rifiuto d’inserire un riferimento alle radici
cristiane nel prologo del Trattato Costituzionale Europeo del 2004 dimenticando che il
Cristianesimo è stato sicuramente uno dei fondamenti dell’identità dei popoli europei ma anche
della cultura e della civiltà occidentali.
Perfino nel linguaggio vi è una manipolazione semantica per mutare la percezione della realtà a
partire da convinzioni, valori, festività al punto che ricorrenze come il Natale, la Pasqua e altre sono
sempre più associate non a eventi religiosi, ma a un nuovo modus vivendi tutto incentrato sul
consumismo e sul riposo dal lavoro.
Una deriva neoliberista talora davvero disumana sta distruggendo molti principi cristiani e valori
umani quali la solidarietà, la pace, l’amore, la condivisione, il rispetto della natura e della dignità
della persona umana che il Cristianesimo ha visto sempre a immagine e somiglianza di Dio.
In tale logica si manipola la realtà, si negano i diritti e le libertà affidando ogni potere di
pianificazione della vita e della società alla finanza e alla tecnologia che stanno controllando ormai
tutto e conducendo a una pesante involuzione dei sistemi democratici liberali.
Quanto accaduto di recente con la vicenda dei dazi nel sistema borsistico, in cui si sono
adombrate da più parti manipolazioni del mercato, ci dice chiaramente che il mondo finanziario
appare sempre più in balia di soggetti senza scrupoli il cui unico fine è l’arricchimento personale.
Nonostante il venir meno della pratica religiosa e la crisi delle vocazioni, a tutto ciò ha cercato di
contrapporsi l’autenticità di molti cristiani a partire da papa Francesco i quali hanno provato a
rimettere al centro l’unicità della persona nei suoi diritti umani e nelle sue esigenze immateriali
partendo dal fondamento della fede cristiana che è nel rapporto con un Dio fatto uomo che è venuto
a parlarci della liberazione dal male finalizzata alla giustizia sociale e alla salvezza spirituale.
Rispetto alle ingiustizie e alle disuguaglianze di sicuro la soluzione non può essere solo la
solidarietà perché gli sfruttati hanno bisogno di una radicale azione politica per il cambiamento
verso la lotta alla povertà e il raggiungimento dell’equità.
Superare la crisi interna al Cristianesimo in Occidente significa a mio avviso prendere atto del
fenomeno, ma riconoscere anche che i cristiani probabilmente stanno diventando sempre più una
minoranza e che già stanno vivendo in diaspora.
Se la Chiesa missionaria in tante aree geografiche riesce a evangelizzare e attrarre fedeli mentre
quella occidentale vive il mutamento appena descritto, dobbiamo concludere che da noi
probabilmente essa non affascina perché chi si dichiara credente non riesce poi conseguentemente a
vivere la propria fede e a scardinare dalla società gli idoli che nel vuoto etico che ci circonda
spingono ormai i più a cercare il proprio piacere personale sotto la spinta di una nuova religione
popolare che è quella del consumismo che ha i propri templi negli ipermercati o nelle
multinazionali del commercio elettronico.
Pensare la fede in una condizione diasporica significa a mio avviso certamente confrontarsi con la
diversità senza tuttavia lasciarsi decostruire fino all’insignificanza.
Questo vuol dire, come affermava Ignazio d’Antiochia, che occorre vivere da cristiani piuttosto
che proclamare di essere tali.
Per citare ancora una volta il pensiero di Immanuel Kant la religiosità di una persona ha bisogno
dell’attivazione e dell’esercizio di una coscienza morale orientata sempre al bene.
Nel secolo scorso il volume di Teilhard de Chardin “La mia fede”, edito da Queriniana nel 1993,
ci indicava la via di una ricostruzione della fede.
Il grande teologo suggeriva di ripartire dalla categoria scientifica dell’evoluzione e
dall’esperienza cristiana dell’amore ridestando in tutti la passione per la ricerca della verità e per
una più autentica spiritualità capace di riportare nella società i principi e le forze di quanti credono
che un Dio esista e possa occuparsi di questa umanità.
Se non ci si vuole allora limitare a dare una ripittura a una casa che crolla, il cammino sinodale
che la Chiesa cattolica sta vivendo può essere una grande occasione per ridare centralità
all’incarnazione del Figlio di Dio e al suo messaggio di amore e salvezza.
In un magma di relativismo e nichilismo nei quali sembra non avere più spazio alcuna certezza un
Cristianesimo profondamente ancorato al Vangelo può sicuramente essere un anticorpo per
riaccendere la speranza purché il mondo riesca a vedere nei cristiani autenticità e coerenza con il
Kerigma.
La Chiesa allora ha bisogno anzitutto di coraggio per superare il verticismo tridentino nelle
nomine degli attuali ordini gerarchici e la sua organizzazione strutturale e territoriale.
L’idea di una segreteria di Stato immaginata da papa Francesco potrebbe essere l’inizio di un
cammino in questa direzione.
C’è ancora la necessità di uscire dalla rigidità culturale, dottrinale e liturgica, a partire dalla stessa
Messa, per non penalizzare con linguaggio, forme espressive e stili nel culto davvero desueti la
creatività della comunità ecclesiale convincendosi senza timori di dissidenza che le vie della
relazione con Dio nella preghiera e nella vita possono essere diverse e articolate pur mantenendo
espressioni e forme condivise.
È importante e non più differibile dare ruoli decisionali e di responsabilità a un laicato che va
coinvolto a ogni livello.
Il cammino sinodale voluto da papa Francesco può avere un ruolo fondamentale se la sinodalità
non si ridurrà a un fatto estemporaneo, ma diventerà un cammino di comunione, di partecipazione e
di ricerca di stili di vita legati all’insegnamento di Gesù e capaci di rivitalizzare la missione
evangelizzatrice in una Chiesa in grado di uscire da una struttura verticistica e gerarchica che non è
quella delle sue origini manifestandosi in tal modo davvero come popolo di Dio.
Il Sinodo è stato un momento di confronto e di elaborazione di proposte per rendere la Chiesa
stessa aperta a nuove forme di organizzazione sul piano universale e locale e a nuovi paradigmi di
presenza nella storia in grado di dare un senso a tutti i momenti della vita.
Ora i suggerimenti giunti dai tanti incontri tenuti devono essere concretizzati con coraggio e
determinazione non certo per assecondare esigenze egoistiche, ma per realizzare la liberazione della
persona nella difesa dei diritti e nella salvezza dal male.
Di fronte al bisogno inespresso di spiritualità che traspare con chiarezza di fronte ai gravi
problemi creati da un materialismo e un edonismo sempre più sconcertanti la fede e la cultura
cristiana credo possano e debbano avere un ruolo fondamentale di cui ogni credente deve farsi
carico per il bene dell’umanità.
Per questo è necessario che nella Chiesa ci sia una svolta strutturale e spirituale che la guidi ad
essere sempre più una comunità aperta, accogliente e credibile dove ciascuno possa sentirsi
riconosciuto e amato.
Nel suo messaggio di auguri per Natale 2024 il mio amico padre Antonio Germano, missionario
saveriano in Bangladesh, mi scriveva: “A me questa gioia grande, piena, traboccante che deriva
dalla nascita di Gesù nessuno può darmela. Essa ha un’unica sorgente e la sorgente è il Verbo
fattosi carne a Betlemme. Posso gustare questa gioia e riversarla anche negli altri solo se sono
pienamente unito a Lui”.
Nulla di più vero perché il centro della serenità e della speranza che vive un credente viene
appunto dal Figlio di Dio fatto uomo.
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