Una nuova raccolta di poesie dialettali: “Se fusse nu cardille”
Non solo “U penziere”, due anni fa una prima raccolta di 86 delle oltre duecento mie poesie inedite, Se fusse nu cardille, a cura di Giancarlo Mammarella, stampata dalla tipografia Rossi di Larino. Un libro dedicato a Flora, all’amore, ai sogni, quali sorgenti d’idee fonti di progetti che aprono a un nuovo domani, che riporta in copertina un’opera di Walter Menon artista brasiliano,
Nel tempo lungo del mio passato mi sono convinto che “solo il sogno è capace di immaginare, e, se diventa idea-progetto, in grado di costruire un domani diverso dall’oggi”. È, il sogno, l’espressione più alta della libertà di una persona. Non bisogna temerlo, ma coltivarlo per vederlo spuntare, e, poi, aspettare che fiorisca e diventi frutto da raccogliere per nutrire le speranze nostre e di altri.
Esso è, al pari dell'amore, il volano della fantasia, che è voglia di volare verso il sole, la luna e le stelle, nel cielo più lontano. Guai a obbligarla a fermarsi a guardare solo orizzonti già definiti o reprimerla!
Sono perfettamente conscio del tempo che viviamo, quello della globalizzazione, del dio denaro, che non ama i sogni e la fantasia, proprio per il loro significato di libertà e diversità. Siamo nelle mani di nuovi padroni, cinici e fondamentalisti, che si nascondono nelle banche e nelle multinazionali, che - con le loro radio e televisioni, i loro giornali, i loro predicatori - ci vogliono far capire che la realtà non assume altre forme se non quella che a noi viene da loro presentata e, quasi sempre, data. Con i loro luoghi comuni ci dicono che il mondo, ormai, è così e non lo si può cambiare, e, quando capiterà che non ha più niente da dare, verranno abitati – secondo questi moderni paperoni - spazi celesti, e solo da chi possiede la gran parte del denaro. Convinti, come sono, di questa prospettiva, non sono in grado di capire il senso del limite e del finito, lo spazio che delimita, definisce e racconta il vissuto, quale insieme di rapporti - mediati da valori, primo fra tanti, il rispetto, e non dal denaro - con tutti gli altri esseri viventi. Non sanno che la realtà è possibilità di sogno e di amore; fonte di note e non di rumori, di poesia e di scrittura; riserva incontaminata di bellezza, di emozioni e di energia, di diversità e non di uniformità, di incontri e di dialogo, di profumi e di sapori, di identità, cioè di emozioni che rendono possibile il volo e affascinante il nostro vivere. Il volo di un cardellino, il piccolo uccello dalla maschera rossa, bianca e nera e dalle ali segnate di giallo, che, quando ero poco più che adolescente spiavo, per trovare il nido e dare ai piccoli affamati l'impasto di una mandola fresca, che aveva bisogno di essere solo spellata e, poi, masticata Lo stesso volo di quando vado incontro all'amore che vive lontano, non a Larino, il luogo che non ha mai smesso- anche nel tempo lungo di ben sette lustri vissuti in Toscana – di nutrire la mia identità. Memoria e, insieme, lingua parlata, che, per non dimenticare, ho provato a scrivere. Non senza difficoltà, quando gli amici di un’associazione culturale costituita a Firenze, Rigoletto e Ilario, mi hanno convinto a pubblicare “U Penziere”, uscita, nel 1989, per gli editori de “il Grifo” di Montepulciano, la terra del Vino Nobile, in Val di Chiana. E, con non poca fatica, quando ho pensato a questa nuova raccolta che porta, non a caso, il titolo “Se fusse nu cardille”. Voglio augurarmi spunto per nuovi sogni e voglia di volare, e, non solo, rispetto della propria identità, che vuol dire amore per sé e per il proprio territorio. Non solo per il Paese e il resto del mondo, visto che Larino, il Molise, l'Italia. come pure il mondo, ne hanno bisogno per costruire, insieme e in pace, il domani, proprio nel rispetto di quel bene comune, il territorio, il solo tesoro, prezioso contenitore di valori e di risorse. Il luogo dal quale ripartire facendo tesoro degli insegnamenti dati nel tempo sospeso della terribile tragedia, la pandemia. Il luogo per ridare voce alle radici nella lingua che sanno meglio esprimere, la propria, come un'erba, un frutto o un animale, capaci di indicare l'origine, l'appartenenza al luogo, cosiddetti autoctoni, com'è l'olivo “Gentile di Larino”. Questa lingua è il dialetto, tanto più preziosa nel tempo della globalizzazione, in cui viene messa in discussione, al pari dell'italiano, con la conseguenza di una moderna colonizzazione, che porta a limitare o, addirittura, a cancellare l'identità di un popolo. La poesia, soprattutto, dialettale è parte di uno stile di vita che privilegia la prevenzione alla cura di una malattia dovuta all'uso e abuso di inglesismi, che hanno il senso di un vero e proprio inquinamento di un lingua scritta e parlata qual è l'italiano e lo stesso dialetto.
Evviva i Sogni !
RispondiEliminaComplimenti Pasquale e ad maiora, Antonio Vincelli
Eliminasempre grato. Buon pomeriggio Antonio
EliminaCondivido in pieno quello che hai scritto la Tua voglia di " Territorio intatto " in ogni suo aspetto mi trova in sintonia con il tuo pensiero libero,sincero,e senza tempo perché il bello è eterno.Salutoni dalla fabbrica del Verde.
EliminaMi ero dimenticato di firmare: Antonio Del Vecchio
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