Omaggio al dialetto, la voce delle radici
comun
Sono passati ben 35 anni dalla presentazione a Firenze, a Larino, Campobasso e Lucera de “U PENZIERE”, la prima pubblicazione di poesie in dialetto larinese. Le prime da me scritte alla fine degli anni ’50 e, poi a Firenze la gran parte della raccolta, dove era grande la mia nostalgia per la mia terra, i miei cari, gli amici; i profumi e i sapori della mia cucina; il dialetto, la voce delle mie radici, che in quel tempo condividevo con tutti al mio ritorno. Un primo taglio netto negli anni ’70 con la fine di alcuni mestieri (maniscalco, a capellére, u bandetòre, u sanaperciélle, u traieniere, u callarare, u s’tagnare….) e di alcune situazioni, in particolare l’acqua corrente nelle case, che azzera, con gli strumenti, tante parole che le nuove generazioni non avranno la possibilità di pronunciare. Una rivoluzione, quella che parte dalla diffusione delle tv nelle case, dall’unione nord – sud con le prime autostrade e le prime macchine, la rivoluzione dei trasporti; la scolarizzazione e altro ancora che apre all’italiano e, nel contempo, impoverisce il dialetto di molte parole. Nel nostro Molise e nel resto delle regioni italiane, parole che si possono trovare e ritrovare nelle comunità dei nostri emigranti, nei paesi europei e, ancor, più, nel resto del mondo dal Canada all’Australia, Nuova Zelanda; dagli Stati Uniti ai Paesi dell’America latina.
Il dialetto resta la voce delle radici, come sopra dicevo, di me emigrante fortunato a Firenze, si riduce il suo patrimonio con tutto ciò che arriva da lontano e dalle novità espresse da un tipo di sviluppo; l’avanzare della globalizzazione e dai processi ad essa legati.
I luoghi diventano sempre più poveri e, a pagare per primo il prezzo più alto, è la parola, l’’essenza della comunicazione sia scritta che parlata. E’ successo per il dialetto con il boom economico. E’ successo per l’italiano (e non solo) con la globalizzazione. Anche la parola è parte di un valore vitale, la biodiversità.
Ero pienamente consapevole del mio bisogno di scrivere in dialetto, non solo per dare una risposta all’ispirazione ma, soprattutto, per superare la paura ricorrente di dimenticare la mia prima lingua parlata, il dialetto. In pratica la paura di perdere la mia identità.
La raccolta delle prime 63 poesie ne “U penziere” è merito di un’Associazione culturale promossa da due ex mezzadri, Ilario Rosati, ex consigliere regionale della Toscana, e Rigoletto Calugi, presidente della Federmezzadri della Toscana, l’organizzazione che, con l’Alleanza dei Contadini e l’Uci, darà vita alla C.I.C., Confederazione Italiana Coltivatori, oggi Confederazione Italiana Agricoltori (CI_A), che, allora dirigente dell’Alleanza dei Contadini della Toscana, ho partecipato a far nascere in Toscana e nel Paese. L’Associazione aveva, nella collana “Sentieri”, già pubblicato otto libri con storie legate alle lotte mezzadrili, all’attentato a Togliatti, alla bonifica e agricoltura toscana. Ilario e Rigoletto, due esempi significativi dei tanti mezzadri che hanno governato, nella veste di dirigenti sindacali e cooperative, sindaci e presidenti di province, presidenti ddi Regione e consiglieri regionali. Impegnati e bravi amministratori di una Regione stupenda qual è la Toscana.
Sono Ilario e Rigoletto a convincermi di prendere in considerazione la pubblicazione di una raccolta delle mie poesie in dialetto larinese-molisano. Una volta messe insieme cerco un poeta dialettale a me caro, Giuseppe Iovine, scrittore e giornalista del quotidiano “Paese Sera” di Roma, che trovo nella sua bella casa di Castelmauro, in un fine settimana dell’inizio estate del 1988. Un incontro piacevole che si chiude con la consegna delle mie poesie scritte a mano. Qualche settimana dopo il secondo incontro e il suo assenso a fare una pubblicazione- l’impegno a firmare la presentazione del libro.
Devo a Teresa Fiore, larinese, moglie dell’Ing. Armando Iacovino, residente a Cavriglia, provincia di Arezzo, la possibilità di averle battute a macchina e, così, fare le fotocopie per distribuirle ai presentatori del libro e, dopo le necessarie correzioni, metterle a disposizione della Casa editrice, gli Editori del Grifo di Montepulciano, scelta dall’Associazione culturale.
La stampa, decisa dall’Associazione, di 2mila copie, un enormità per un libro di poesie di un autore sconosciuto e per di più in dialetto di una terra poco conosciuta, il Molise.
La presentazione ufficiale, promossa sempre dall’Associazione, in un luogo simbolo, la sede della Regione Toscana, Palazzo Panciatichi, via Cavour Firenze e di una sala esclusiva, quella del Pegaso riservata a eventi speciali.……
Poi a Larino e a Lucera, presenti, in entrambe le presentazioni, Sara Simeoni, la grande dell’atletica italiana, allora madrina dell’Enoteca italiana di Siena che avevo l’onore di dirigere, e, suo marito Erminio Azzaro, già campione italiano di salto in alto. La presentazione a Campobasso con Mario Gramegna, studioso delle tradizioni popolari molisane e del dialetto, che qualche anno dopo pubblicherà un’Antologia, due volumi dedicati a “Letteratura dialettale molisana”, dove è citato “U penziere” con due poesie.
A Siena la presentazione all’Enoteca Italiana con Maria Teresa Santalucia, la grande poetessa senese, mia
indimenticabile amica.
Ciao PASQUALE,ho letto il tuo scritto tutto d'un fiato , mi sono commosso ed è scesa qualche lacrimuccia. Non esiste misura che possa dirmi quanto mi manca Larino i miei cari e tanti amici che mi mancano. Ti abbraccio e grazie.
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