La lenta scomparsa dai mercati dell’olio extravergine di oliva italiano


La lenta scomparsa dai mercati dell’olio extravergine di oliva italiano
Senza un piano di sviluppo della nostra olivicoltura gli ultimi interventi di sostegno finanziario, che interessano anche il comparto olivicolo, servono solo per arraffare denaro e prolungare l’agonia di un comparto agricolo cancellato di fatto dall’importazione di oli0
settembre 2025 | 15:00 | Pasquale Di Lena

La Spagna ha superato da tempo il milione di tonnellate di olio di oliva prodotto, scalzando l’Italia dal primo posto al mondo con le sue 300 mila tonnellate, poco più, a rappresentare la media produttiva annua. Alla fine del secondo millennio eravamo primi al mondo in quanto a produzione di olive e di olio: consumo di olio: superficie coltivata; numero di aziende: esportazione. Da allora abbiamo perso tutti i primati, anche quello di paese primo al mondo in quanto a consumo di olio. Anche qui superati dalla Spagna e, solo per poco, davanti agli Stati Uniti d’America. I tre paesi che, per circa la metà dell’olio consumato al mondo, stanno davanti a tutti. I dati parlano di una lenta scomparsa dai mercati dell’olio extravergine di oliva italiano (da sempre il più ricercato per la sua qualità) nell’indifferenza di chi, politica e mondo agricolo e industriale, in tutti questi anni, negli ultimi in particolare, ha dato spazio e potere alla Spagna e si è dimenticato dell’olivicoltura italiana. Una colpa che continua ad aggravare la situazione e a dimostrarlo c’è che uno dei comparti più importanti e diffusi dell’agricoltura italiana, che - nonostante il dato che raccoglie più sigle sindacali, e professionali, associative e cooperative - è, da sempre in attesa di un piano di sviluppo. Un vuoto programmatico che ha segnato e segna la crisi della nostra olivicoltura, Sono i dati dell’importazione di olio a dimostrarlo e la diffusione dell’abbandono dei nostri oliveti, soprattutto nelle aree interne, quelle segnate sempre più dallo spopolamento e dall’aumento dei dissesti idrogeologici. Un vero e proprio disastro, aggravato non solo dal vuoto politico e sindacale, ma, anche, dalla scelta di dare spazio alla diffusione degli oliveti superintensivi, che, in Italia, ha il significato di un attacco a fondo alla biodiversità olivicola espressa dal nostro territorio. Il più ricco patrimonio al mondo, che, nonostante i suoi 600 olivi autoctoni mono varietali, nessuno ha preso in considerazione e, oggi, con la sempre meno disponibilità di olio, il rischio è la sua riduzione se non cancellazione. Stiamo parlando di un patrimonio enorme, ovvero di una ricchezza che nessuno al mondo possiede, che ha tutto per vincere ogni concorrenza  e conquistare i mercati più esclusivi e i consumatori più esigenti di qualità e di diversità. Importante per curare la bontà della propria tavola e avere premura della propria salute. 600 varietà di olivi, il patrimonio  dal quale ripartire per ridare al Paese i primati persi.

Un patrimonio sprecato, che nega il domani di un fondamentale comparto della nostra agricoltura e offende il territorio italiano, le sue risorse e i suoi valori, quali storia, cultura, tradizioni, biodiversità. Risorse e valori che il dio denaro delle multinazionali e delle banche cerca di distruggere con tutti i mezzi, compresi quelli relativi alle energie, cosiddette “pulite”, prodotte da pali e pale eoliche, pannelli solari a terra. Senza dimenticare che l’olio, filo conduttore della Dieta Mediterranea, il vino e, con essi, il pane e la pasta, i legumi, in pratica il buon cibo, sono i nemici da battere per affermare il cibo coltivato in laboratorio e quello artificiale, le bevande prodotte industrialmente.  

Un patrimonio – vale la pena sottolinearlo di nuovo - quello della biodiversità, tutto da utilizzare per tornare primi sui mercati del mondo, che, dagli ultimi decenni del secondo millennio, vive la situazione di spreco proprio nel tempo in cui essa rappresenta l’elemento strategico di una campagna di comunicazione e valorizzazione vincente nel mondo, in mancanza di concorrenti. A partire dalla Spagna. Il paese che - ancora qualche decennio - pagherà a caro prezzo la sua scelta degli oliveti superintensivi, rappresentati da due o tre sole varietà. Intanto, in Italia le piccole aziende coltivatrici spariscono per mancanza di reddito e vanno a far crescere ancor di più le grandi aziende che, con la loro agricoltura industrializzata, pensano alla quantità e non alla qualità. Tutto per rendere ancor più pesante la crisi del clima e sempre più difficile la sostenibilità ambientale e la fertilità del suolo. Altre ragioni, queste, della crisi dell’olivicoltura e della scomparsa crescente  dell’olio extravergine di oliva italiano. 

Senza un piano di sviluppo della nostra olivicoltura gli ultimi interventi di sostegno finanziario, che interessano anche il comparto olivicolo, servono solo per arraffare denaro e prolungare l’agonia di un comparto agricolo cancellato di fatto dall’importazione di olio e questo fino a quando la Spagna lo produrrà con i suoi oliveti superintensivi e, con essa, gli altri paesi dell’Europa mediterranea e del nord Africa. Tutto questo è nella mente di un sistema, il neoliberismo, padrone dell’intelligenza artificiale che sta lavorando per rendere l’umanità schiava di robot, che cancellano il tempo e azzerano la memoria, la nostra. Tutto per portare l’individuo, soprattutto di domani, a vivere il cibo coltivato in laboratorio o, anche, artificiale. Un’offesa al tempo ed alla natura, con i patriarchi che saranno un lontano ricordo. 

Commenti

  1. Questi sono i danni prodotti dal Profitto sfrenato, re assoluto di questi decenni

    RispondiElimina
  2. È molto più semplice fare l'influencer che sporcarsi le mani per la nostra agricoltura. Del resto la politica, specialmente quella degli ultimi anni ha pensato ad altro. Meglio acquistare dalla Spagna olive marce e spacciarlo per olio evo italiano.

    RispondiElimina
  3. Fa rabbrividire che l'Oro liquido italiano e molisano anche, diventi sempre più una rarità. La raccolta delle olive è il racconto di più generazioni e di condivisione di cura e coltura degli ulivi che nessun robot potrà sostituire.
    Non dobbiamo perdere né trascurare un settore così importante per la dieta mediterranea, un olio extravergine d'oliva è sinonimo di buona salute con tutti i benefici che apporta. Gli ulivi sono l'abbraccio di Madre Natura, forti e rassicuranti con la storia che ognuno di essi racchiude fatta del tocco di mani sapienti che nei decenni li hanno curati

    RispondiElimina
    Risposte
    1. A fronne da uelive-----a uelive capate-----l'oje dent'u zzirre…

      Elimina
    2. Maria Grazia Barbusci9 settembre 2025 alle ore 18:14

      Io al tempo avevo il compito di raccogliere le olive cadute a terra, in ginocchio e con le mani miezz j temp de terr...
      Odori e ricordi bellissimi con mamma ed i miei fratelli, insieme in campagna in quei giorni per la raccolta.
      La ciclicità della natura ha accompagnato la mia crescita finché non abbiamo venduto quel poco di terra che rimase dopo l'esproprio della maggior parte...
      Bei tempi

      Elimina
  4. E’ solo uno degli aspetti dell’attuale cultura troppo miope per guardare oltre la punta delle proprie scarpe. Affamati di guadagno immediato si calpesta il futuro. Diamo la responsabilità ai politici ma essi sono figli di un popolo (troppo spesso facciamo retorica sul popolo) incapace non solo di ribellarsi ma anche di informarsi e formarsi. E’ iniziato con il soffocamento dei piccoli negozi poi dell’artigianato poi dell’agricoltura tradizionale (in fondo il contadino era un artigiano della terra). In fisica si parla di entropia che tutto livella, nelle attività umane la ruspa che livella è il danaro. Per quanto riguarda l’olio – come per altre merci- si guarda al risparmio in danaro (anche chi potrebbe spendere di più). Non ci si chiede quanto occorre per produrlo artigianalmente e perciò quanto deve necessariamente costare. Si sta tornando indietro: la qualità diventa privilegio dei ricchi ma quando sarà distrutto l’artigianato dei campi nemmeno essi avranno la qualità. Il Molise è un esempio: potrebbe diventare un centro agricolo di qualità, un’isola felice e attrattiva vista la grande ospitalità della sua gente ma rimane complessivamente sonnacchioso e sottomesso a una classe politica che non è stata mai adeguata tranne eccezioni peraltro nemmeno apprezzate. Tu stesso ne sei stato vittima: l’ardore di fare e la capacità creativa danno fastidio a chi ha voglia di sonnecchiare o farsi i fatti propri. In passato si parlava di cultura di classe sociale ora bisognerebbe almeno parlare di cultura di territorio. Amandolo, curandolo, difendendolo. Non c’è che essere pessimisti visto come vanno le cose malgrado la tua ostinazione. Nicola Picchione.

    RispondiElimina

Posta un commento

Post popolari in questo blog

Le Osterie del Molise, consigliate da Slow Food 2023