Corundoli, un bosco da salvare

di Stefano Vincelli
La macchia di fronte è Corundoli
Sul gasdotto Larino-Chieti si discute molto e da anni, tra le ragioni dei pro e le ragioni dei contro. A noi comuni cittadini arrivano, il più delle volte, notizie frammentate che non ci permettono di capire, realmente, cosa ci sia alla base delle differenti prese di posizione.

Una cosa però ci ha incuriosito, la questione del Bosco “Corundoli” di Montecilfone e la facilità con cui è stata concessa la servitù di passaggio del metanodotto Larino-Chieti con Deliberazione di Consiglio Comunale n. 23 del 01/12/2018. La riflessione è partita dalle caratteristiche intrinseche della zona stessa, essere un bosco così come definito dalle leggi nazionali/regionali e con tutti i vincoli che ne conseguono. Ma più che i vincoli relativi alle leggi di tutela/conservazione/gestione delle superfici forestali, l’attenzione è ricaduta sulla domanda: il Bosco “Corundoli” è gravato da uso civico, è una proprietà collettiva? (Terreni montani e pascolivi, nonché boschi vincolati da diritti di usi civico di pascolo e di legnatico, in favore dei naturali del posto, assegnati provvisoriamente ai comuni in seguito alle verifiche demaniali operate nel periodo compreso tra gli anni ’30 e gli anni ’60).

Coadiuvati dal testo a cura di Fiore Fontanarosa, edito dalla Pallino Editore: “Usi civici e proprietà collettive - tra realtà odierne e prospettive future”, abbiamo cominciato una piccola ricerca. Risulta, sul comune di Montecilfone, una superficie gravata da uso civico pari a 84 ha 48 a 85 ca, istituita con Decreto Commissariale del 15 maggio 1936. Entrando più nello specifico, ma senza grandi sorprese, si viene a scoprire che la superficie vincolata è quella corrispondente all’area boschiva del bosco “Corundoli”.

Per questo motivo torniamo alla Deliberazione di Consiglio Comunale con cui è stata concessa la servitù di passaggio. Questo atto è legittimo? A nostro parere no e vi spieghiamo perché.

La legge regionale 23 luglio 2002 n. 14 “Usi civici e gestione delle terre civiche” all’art. 3 riporta le modalità di alienazione e mutamento di destinazione. In sintesi: è necessario affiggere per 15 giorni all’albo pretorio le istanze per la mutazione di destinazione; i cittadini hanno 30 giorni per eventuali osservazioni; trascorsi i termini, la deliberazione comunale, unitamente alle osservazioni espresse in merito alle istanze, viene inoltrata alla Regione, che tramite istruttoria della struttura competente, provvede al rilascio dell’autorizzazione.

Nella delibera il Comune non fa citazione di terreni gravati da uso civico, ma li qualifica esclusivamente come terreni di proprietà, così come nel preliminare di costituzione della servitù. Si vuole ricordare al Sindaco che la legge n. 1766/1927 e la più recente L. n. 97 del 1994 (Nuove disposizioni per le zone montane), che gli “usi” presentano la caratteristica della non appartenenza, a titolo di proprietà individuale, a persone fisiche od enti in quanto spettanti ad una comunità di abitanti che ne godono collettivamente.

Inoltre, si vuole ricordare che, i proventi derivanti dall’alienazione o dall’instaurazione di una servitù devono essere destinati alla realizzazione di opere e di servizi pubblici, alla manutenzione ed alla gestione delle opere pubbliche, alla redazione di strumenti di pianificazione territoriale ed all'incremento dello sviluppo socio-economico del demanio civico. Qualora non fosse possibile il reinvestimento dei corrispettivi, i proventi non possono essere destinati ad altre finalità. Prima dell’utilizzazione delle somme è necessaria l’autorizzazione del Servizio.

Ma se quanto riportato in precedenza si rifà a meri tecnicismi e procedure burocratiche, vale la pena ricordare che si sta ragionando di un polmone verde, di un ecosistema da salvaguardare. Ed ecco che passa a un diritto collettivo che può essere utilizzato “non tanto allo scopo di permettere una attività agro-pastorale di mera-sussistenza, che in quanto tale non ha più significato al giorno d’oggi, quanto di proporre una riscoperta dei quei valori ambientali che significano anche valorizzazione di tradizioni antiche, che consideravano la natura come risorsa da conservare attentamente per poterne continuare l’utilizzo nel tempo. Insomma una proprietà in cui il profilo di godimento limiti e condizioni il potere di disposizione. Proprio la Corte Costituzionale ha sentenziato che il valore dell’ambiente poteva ben sostituirsi a quello delle esigenze umane più semplici e più risalenti al tempo” (Fabrizio Marinelli – Gli assetti fondiari collettivi tra economia e storia. Usi civici e natura delle cose.).

I diritti di uso civico non si perdono mai, anche in caso di non uso e possono essere rivendicati ed esercitati proprio perché rispondono ad esigenze primarie di vita e di conservazione del territorio. Scegliere di salvaguardare un patrimonio collettivo è una scelta coraggiosa, che molte volte va in contrasto con interessi meramente economici.

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