Ripresa per chi? Istat, cresce ancora la povertà in Italia: mai così alta da 13 anni

a Greenreport - L'editoriale [26 giugno 2018]
Ufficialmente, l’Italia si è lasciata alle spalle la grande recessione già nel 2014 quando – dopo anni di sofferto declino – il Pil nazionale ha iniziato a risalire. Prima di un minuscolo +0,1%, poi con un andamento sempre più robusto, sebbene ancora al rallentatore rispetto ai principali partner europei: +0,8% nel 2015, +0,9% nel 2016 e infine +1,5% nel 2017. Eppure la tensione sociale non si allenta, ma anzi monta in un crescendo d’insoddisfazione che ha portato alla sonora bocciatura elettorale di quella classe dirigente che pur ha traghettato il Pil nazionale fuori dalle secche della crisi economica. E il perché lo ricorda indirettamente oggi l’Istat, aggiornando i dati sulla povertà in Italia: quelli sulla povertà assoluta sono «i valori sono i più alti della serie storica, che prende avvio dal 2005». In pochi hanno guadagnato dalla crescita del Pil celebrata in questi anni, mentre strati sempre più ampi di popolazione cadevano in povertà, e la disuguaglianza continua a dilaniare l’Italia.
Come informa l’Istituto nazionale di statistica – sulla cui indipendenza il nuovo governo M5S-Lega sembra mostrarsi già un po’ troppo invadente – nel 2017 si stimano in povertà assoluta 1 milione e 778mila famiglie residenti in Italia, in cui vivono 5 milioni e 58mila individui: l’incidenza della povertà assoluta è così pari al 6,9% per le famiglie (dal 6,3% nel 2016) e all’8,4% per gli individui (dal 7,9%), ed entrambi i valori sono appunto i più alti della serie storica. Questo significa che oggi l’8,4% degli italiani non ha a disposizione i soldi per una spesa mensile minima necessaria per acquisire un paniere di beni e servizi che viene considerato «essenziale a uno standard di vita minimamente accettabile»; ad esempio, per un adulto (di 18-59 anni) che vive solo, la soglia di povertà è pari a 826,73 euro mensili se risiede in un’area metropolitana del Nord, a 742,18 euro se vive in un piccolo comune settentrionale, a 560,82 euro se risiede in un piccolo comune del Mezzogiorno.
Per tracciare i confini della povertà assoluta in Italia, alcuni dati Istat spiccano sugli altri. Si stima che vivano in questa condizione 2 milioni 472mila siano donne (incidenza pari all’8%), 1 milione 208mila i minorenni (12,1%), 1 milione e 112mila i giovani di 18-34 anni (10,4%, si tratta del valore più elevato dal 2005) e 611mila anziani (4,6%). Dunque, essere giovani in Italia aumenta paradossalmente il rischio di essere poveri: «L’incidenza della povertà assoluta – spiega al proposito l’Istat – diminuisce all’aumentare dell’età della persona di riferimento. Il valore minimo, pari a 4,6%, si registra infatti tra le famiglie con persona di riferimento ultra sessantaquattrenne, quello massimo tra le famiglie con persona di riferimento sotto i 35 anni (9,6%)». L’incidenza della povertà assoluta aumenta inoltre prevalentemente nel Mezzogiorno, nei comuni più piccoli fino a 50mila abitanti ma anche nei centri e nelle periferie delle aree metropolitane del Nord. Anche l’istruzione rappresenta una discriminante importante: se la persona di riferimento in famiglia ha al massimo la licenza elementare l’incidenza della povertà assoluta è al 10,7% (8,2% nel 2016), mentre con persona di riferimento almeno diplomata è al 3,6%. A testimonianza infine dell’importanza del lavoro, la povertà assoluta diminuisce tra gli occupati (sia dipendenti sia indipendenti) e aumenta tra i non occupati; ma ciò non toglie che se la persona di riferimento è operaio, l’incidenza della povertà assoluta (11,8%) è più che doppia rispetto a quella delle famiglie con persona di riferimento ritirata dal lavoro (4,2%).
Non va meglio guardando alla povertà relativa, che viene calcolata sulla base di una soglia convenzionale detta linea di povertà (per una famiglia di due componenti è pari nel 2017 a 1.085,22, ad esempio). Nel 2017 riguarda 3 milioni 171mila famiglie residenti (12,3%, contro 10,6% nel 2016), e 9 milioni 368mila individui (15,6% contro 14,0% dell’anno precedente). Come la povertà assoluta, la povertà relativa è più diffusa tra le famiglie con 4 componenti (19,8%) o 5 componenti e più (30,2%), soprattutto tra quelle giovani: raggiunge il 16,3% se la persona di riferimento è un under35, mentre scende al 10,0% nel caso di un ultra sessantaquattrenne. L’incidenza di povertà relativa si mantiene elevata per le famiglie di operai e assimilati (19,5%) e per quelle con persona di riferimento in cerca di occupazione (37,0%), queste ultime in peggioramento rispetto al 31,0% del 2016.
La mole di dati messa insieme dall’Istat aiuta molto a capire anche perché da anni ormai l’Italia stia vivendo una fase di profondo declino demografico, con sempre meno figli a riempire le culle del Paese. Valori inferiori di povertà relativa rispetto alla media nazionale si registrano infatti tra i single e tra le coppie senza figli. Rispetto all’età, le famiglie più colpite sono quelle con persona di riferimento sotto i 34 anni (16,3%); di contro, si rilevano valori inferiori alla media nazionale tra le famiglie con persona di riferimento di 55 anni o più (11,0% tra i 55-64enni e 10,0% tra gli ultra sessantaquattrenni).
Come nel caso della povertà assoluta, anche per quella relativa considerando il livello di istruzione della persona di riferimento, segnali di peggioramento si rilevano ai livelli medio-bassi: con nessun titolo di studio o licenza elementare si passa dal 15,0% al 19,6%, con licenza di scuola media dal 15,0% al 16,6%. Se la persona di riferimento ha almeno il diploma l’incidenza si attesta a 6,5%.
Vale la pena notare che il dilagare di tutta questa povertà non è dovuto, come molti vorrebbero far credere, alla presenza di stranieri in Italia, che a loro volta rappresentano il segmento più povero della popolazione: «L’incidenza di povertà relativa è decisamente più elevata nelle famiglie dove sono presenti stranieri – spiega l’Istat – in quelle di soli stranieri è pari a 34,5%, nelle famiglie miste è pari a 23,9%; i valori delle famiglie di soli italiani sono decisamente più contenuti (10,5%), sebbene in aumento».
Il grande problema sociale dell’Italia non sono certo i migranti, quanto la disuguaglianza crescente tra chi ha sempre di più e chi sempre di meno, un trend che prosegue ormai da almeno vent’anni. E si badi bene che non si tratta di un evoluzione ineluttabile, quanto di una scelta politica più o meno consapevole. Una scelta che dunque sarebbe possibile invertire: peccato che tra le più importanti proposte economiche avanzate dal governo Lega-M5S ci sia invece la flat tax, che se introdotta avrà come principale conseguenza quella di incrementare ancora di più la disuguaglianza già da record che sta sperimentando l’Italia.

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