A PROPOSITO DI MODERNITA' DELLA NOSTRA OLIVICOLTURA

Posto questo articolo letto su AgroNotizie di questo mese, dicendo subito che non sono d’accordo con la Confagricoltura, l’organizzazione che associa le grandi aziende agricole italiane.
L’innovazione è importante ma ciò non vuol dire che tutte le innovazioni sono utili.
Il deficit strutturale è una caratteristica da sempre dell’olivicoltura italiana e non solo la conseguenza dell’annata 2014 ritenuta da tutti tremenda. E’ strano che se ne accorgano solo ora.
Non è colpa degli olivi secolari (sono un patrimonio inestimabile tutt’ancora da sfruttare) il limite dell’innovazione e non c’entra niente la qualità se vengono introdotte varietà diverse da quelle tradizionali. Il problema è la coltivazione super intensiva di marca spagnola che va a stravolgere e non a esaltare il quadro della nostra olivicoltura, che è, soprattutto, rappresentato dalla ricchezza della biodiversità con oltre 400 varietà di cultivar autoctone sparse sui 18 territori olivicoli regionali. Un patrimonio, oggi ancor più di ieri, straordinario, tutto da salvaguardare, promuovere, esaltare per fare del valore della diversità l’arma vincente dell’olio extravergine di oliva italiano.
E, infine, destinare le risorse solo all’incremento della produttività e non alla messa in campo di una strategia di marketing vuol dire far mantenere all’agricoltura la mano tesa della richiesta dell’elemosina che, per chi come me la vive da oltre cinquant'anni, è tanta parte della crisi che il comparto e il settore nel suo complesso vivono ormai dal 2004.
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