IL VINO MOLISANO RECUPERA GRAZIE AI GIOVANI PRODUTTORI E ALLA TINTILIA


Parte quarta 

Parte Vino e Giovani

Mi serve fare una premessa per spiegare il ritardo accumulato dal vino molisano, nel momento in cui non è stato neanche sfiorato da quel moto nato sulle spoglie del metanolo del 1986 e, poi, per sottolineare il forte recupero che esso ha prodotto alla fine del secondo millennio e in questi primi anni del terzo.

Il 1986, è per me, l’inizio di quel “Rinascimento della Vitivinicoltura italiana” che ha visto protagonisti:

  1. l’Enoteca italiana di Siena con “Vino e Turismo” e “Vino Sport e Alimentazione”, la nascita de  “le Città del Vino” e la grande avventura nel mondo che ha fatto bene al vino italiano;
  2. Slow Food, che, sin dai primi passi, ha mostrato subito la sua grande vivacità e il saper andare controcorrente;   
  3. l’uscita di una rivista come “il Gambero rosso” e di importanti pubblicazioni;
  4. le iniziative del Mipaaf e di molte Regioni (Piemonte e Toscana soprattutto) in Italia e all’estero; il nuovo volto e un ruolo importante del “Vinitaly” di Verona; non ultimo il ruolo di associazioni come quella degli enologi o degli assaggiatori e sommelier, delle donne del vino e del Movimento per il turismo del vino .

Un processo intenso che ha portato il vino e, con esso, il cibo italiano, a vivere, più nel mondo che in Italia, un successo che ha risposto alla domanda di qualità di un consumatore affascinato dal vino e, soprattutto, dalla ritualità e dalla cultura che il vino, diversamente da qualsiasi altra bevanda, riesce ad esprimere. E ci riesce perché è esso stesso cultura.          

Alla fine, anche il Molise, come l’insieme delle Regioni italiane, è stato influenzato da questo “Rinascimento del Vino”, coinvolgendo ben presto anche gli altri comparti produttivi dell’ agricoltura e dell’industria alimentare regionale.

Un processo lento, ma non per questo meno importante, quello che ha portato il vino a vivere la qualità in una realtà piccola come il Molise, che, dagli anni ’60, aveva vissuto la quantità, il grado alcolico, soprattutto con le sue cinque cantine sociali, oggi ridotte a quattro.

Un processo che ha visto per lungo tempo mostrare solo qualche eccezione e che, a cavallo degli anni ’80, ha trovato una prima spinta nel riconoscimento della Doc Biferno e, poi, del Pentro o Pentro d’Isernia, per arrivare alla vigilia del terzo millennio, con il riconoscimento, nel 1996, della la terza Doc (Molise o del Molise) e l’entrata in campo della Tintilia.

Un avvenimento importante questo riconoscimento se è vero, com’è vero, che In contemporanea si registra la nascita e crescita di una vitivinicoltura in mano a giovani, che sono diventati i grandi attori del rinnovamento e, con esso, dell’immagine della qualità dei vini molisani.

La Doc “Molise”, con il rosso ricavato dalle uve del vitigno autoctono “Tintilia”, apre al nuovo, scegliendo senza più tentennamenti la qualità, l’elemento essenziale per conquistare il consumatore e, con esso, il mercato, con i giovani imprenditori subito protagonisti e pronti, con l’immagine e la comunicazione, ad affiancare le due aziende vitivinicole, già attive da tempo, più rappresentative della vitivinicoltura molisana. 

Sono già venticinque le aziende imbottigliatrici, che, grazie ai loro grandi vini, stanno onorando il Molise con la partecipazione agli eventi, la conquista di nuovi mercati e, soprattutto, di riconoscimenti prestigiosi, che danno immagine al vino e al suo territorio di origine, nel nostro caso il Molise.

Uno sforzo dei singoli, però, e non della squadra, oltretutto in un quadro privo di programmazione, salvo l’appuntamento al Vinitaly di Verona, sotto la regia dell’Unione delle Camere di Commercio del Molise, che, in mancanza di una sua continuità di azione nel corso di un anno, non produce i risultati attesi dalle aziende, molte delle quali non più parti dello stand collettivo, ma con propri stand sparsi nei padiglioni della grande fiera del vino italiano.

Un aspetto, questo, sufficiente a dimostrare la mancanza di una strategia di marketing e, anche, dell’unità di azione collettiva dei vitivinicoltori, con il Consorzio che li associa ma non li rappresenta, nel momento in cui non promuove alcuna iniziativa. Un vuoto istituzionale e un vuoto rappresentativo dei produttori che spiega bene il freno a un successo più ampio ed ancor più significativo per questi grandi vini, proprio ora che il mercato guarda sempre più al vino italiano e, soprattutto, a quello di qualità.

pasqualedilena@gmail.com

 

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