IL TERRITORIO COME RISORSA

di Nicolino Civitella A proposito della lettera di Francesco Travaglini a Pasquale Di Lena L’obiezione che Francesco Travaglini, con la lettera qui pubblicata qualche giorno fa, rivolge a Pasquale di Lena in merito alle politiche per la salvaguardia del territorio, è che il valore di un territorio non si misura solo tenendo “semplicisticamente” presente “l’aspetto esteriore e romantico del paesaggio”, ma si misura anche attraverso la cultura amministrativa, economica, produttiva e sociale che ne condiziona l’uso. In pratica a Pasquale di Lena viene imputato il torto di limitarsi a considerare il territorio solo sotto il profilo della sua fuibilità estetica. Ritengo una simile imputazione priva di fondamento, poiché Pasquale entra sicuramente nel merito di quelle condizioni d’uso determinate dalla cultura amministrativa, economica ecc, formulando anche specifiche proposte. A ben vedere tuttavia, Pasquale, nel suo rapportarsi alle problematiche territoriali, un sentimento romantico lo evidenzia, ma il romanticismo non si fonda su di un suo presunto orientamento a circoscrivere in modo esclusivo il proprio interesse a suggestioni estetizzanti, bensì si fonda sull’amore intenso e smisurato che egli mostra di nutrire per la terra, nonché per i frutti che la premurosa laboriosità umana ne ricava, un amore che oltre a rappresentare la principale fonte di ispirazione per la sua sensibilità poetica, lo induce a ritenere che il settore agricolo rappresenti il luogo dove si può consumare una rottura radicale del modello di sviluppo capitalistico in atto, basato, come si sa, su uno sfrenato consumismo con le sue devastanti conseguenze per l’ambiente, e su un’idea di produzione illimitata di beni, che è necessariamente incompatibile con la non altrettanto illimitata disponibilità delle risorse. Insomma, l’idea di agricoltura come luogo di una rivoluzione da condurre in nome della salvaguardia del territorio . È questo il suo romanticismo. Un sentimento che, per l’appunto, consiste nel proporre e coltivare una forte idealità verso la quale orientare il reale, in modo da ridurre tra i due poli, quello del reale e quello dell’ideale, fino magari ad annullarlo, lo stridente contrasto generato dal raffronto. Ed è su questo punto che io invece non mi sento di tenergli dietro, e non perché voglia annoverami tra i sostenitori del modello di sviluppo in atto, ma perché tali posizioni romantiche, dal mio punto di vista, risultano ancora piuttosto vaghe, non essendo supportate, almeno a me così sembra, da solide elaborazioni di pensiero, con la conseguenza: 1) di alimentare fughe verso il pauperismo, o magari di propugnare l’auspicio a un generale ritorno alla terra inteso come riconquista del paradiso perduto; 2) di sottovalutare o di non osservare in una corretta luce i complessi aspetti della realtà che è fatta di assetti produttivi, di assetti sociali, di assetti organizzativi, di modelli relazionali e culturali e così via, nei quali sono immerse tutte le problematiche della nostra quotidianità. Ma veniamo ora al nostro microcosmo regionale da cui prendeva spunto Travaglini per muovere le sue abiezioni a Di Lena. Se è vero, com’è vero, che il valore di un territorio non si misura considerandolo solo sotto il profilo della sua integrità paesaggistica, ma considerando invece anche gli orientamenti culturali che ne determinano le modalità d’uso, è altrettanto vero che le modalità d’uso non possono essere tutte indistintamente considerate frutto di scelte lungimiranti a prescindere da ogni attenta analisi di vantaggi e svantaggi, a livello individuale e collettivo, cui danno luogo. Orbene, secondo Travaglini la selvaggia disseminazione di pale eoliche sul nostro territorio regionale, se da un lato costituisce il frutto di scelte politiche regionali che non hanno saputo disciplinare il fenomeno, dall’altro lato è da considerare un’inevitabile risposta, con valore di positività e lungimiranza, alla crisi della nostra agricoltura che non riesce più a sopravvivere, nonché alla lenta agonia dei comuni che rischiano tutti il dissesto finanziario e non riescono a programmare nulla per la difesa e la promozione dei territorio. Ecco, simili valutazioni appartengono al novero di quelle formulate a prescindere e per questo sottendono una cultura del territorio dalle conseguenze perniciose per il singolo e per la collettività. Entrando nello specifico. Accantoniamo per un momento la deturpazione estetica del paesaggio e l’importanza della produzione di energie alternative, per soffermarci sulle ricadute di natura economica degli impianti in questione. Il proprietario che cede in uso un terreno agricolo per la realizzazione di una o più pale eoliche, sicuramente ne ricava una redditività di gran lunga superiore a quella che ne avrebbe ricavato attraverso un utilizzo legato alla destinazione sua propria. Ma il nuovo ricavo è veramente risolutivo per la vita della sua famiglia? Certo che se egli ospita nel proprio terreno dieci di quei torrioni, la risposta è positiva, se ne ospita uno o due, sicuramente non lo è, in tal caso al più si può parlare di integrazione al reddito. Se, poi, nell’agro di un comune si realizzano, poniamo, 50 pale eoliche, potremmo concludere che le risorse finanziarie immesse in quel comune attraverso i singoli privati beneficiari siano tali da rappresentare un fattore propulsivo per l’economia di quella comunità? Dubito che si possa rispondere affermativamente. In proposito si potrebbe obiettare che in aggiunta bisogna considerare anche il ristoro monetario a favore dei comuni. Certo. Però, le più recenti disposizioni, se non erro, lo hanno abolito, e poi sarebbe interessante vedere l’uso che ne hanno fatto i comuni i quali hanno goduto del beneficio ( mi raccontava un amico pugliese: organizzano dei tabelloni agostani che non ti dico, con i migliori cantanti, e la gente così, la sera!). Ma esaminiamo altri aspetti della questione. Al termine della vita utile di tali impianti (20 anni?), le normative fanno obbligo alle società realizzatrici la dismissione e il ripristino dei siti in condizioni analoghe allo stato originario. Ma con quali garanzie? Si immagini una società che in prossimità della dismissione dichiari fallimento. Che succederà in tal caso? In qualche regione mi pare che le disposizioni prevedano l’accantonamento da parte della società realizzatrice di una somma annuale a concreta garanzia del ripristino. Ma nel Molise? Mi risulta che le garanzie richieste non siano così stringenti e allora i costi di dismissione potrebbero ricadere sul proprietario del suolo che a questo punto potrebbe rimetterci più di quanto abbia incamerato. Ma il proprietario potrebbe a sua volta dichiarare la propria incapacità fronteggiare tali costi, premendo affinché sia l’ente pubblico a farsene carico. Ipotesi inverosimili? Mah! E non basta. La normativa a proposito di ripristino dei siti, tra i criteri da soddisfare prevede che la struttura di fondazione in calcestruzzo venga annegata sotto il profilo del suolo per almeno un metro. Ora, un suolo che a un metro di profondità presenta un poderosa struttura di fondazione in calcestruzzo, vi pare si possa riutilizzare come un tempo per una qualsiasi coltura? Non è forse prevedibile che nel giro di qualche anno essa possa tornare in superficie soprattutto se trattasi di terreni in pendenza? Tralascio qualche pensiero maligno per concludere: La produzione di energie alternative che è sicuramente un fatto positivo, poteva essere una buona opportunità per la nostra regione, ma l’occasione è stata sprecata. Così come è stata messa in atto, ha prodotto: limitati benefici per pochissime persone del luogo (ma reali o illusori?) e grandi ritorni economici (certi) per le società realizzatrici; un danno per il territorio non solo per devastazione paesaggistica, ma anche per la definitiva sottrazione di ampie fette di territorio alla produttività agricola; infine, prevedibili danni a carico dell’erario. La colpa, come già detto, è sì del potere regionale che ha dato la stura a un fenomeno dalla marcata connotazione speculativa, ma non possiamo sottacere le complicità dei poteri periferici che hanno rinunciato a porsi come guardiani del proprio territorio, denunciando in tal modo di essere portatori di visioni miopi, per non dire di peggio. Nicolino Civitella

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