L'industria da salvare è quella ecologica

Le idee su cui confrontarsi


[ 11 settembre 2012 ]
Alessandro Farulli da Greenreport
 
 
Che senza l'industria non ci sia sostenibilità né ambientale, né sociale, ora appare chiaro più o meno a tutti. Nemmeno i decrescitori più estremisti possono negare questa evidenza. Tutto ovviamente ruota intorno a quale industria vogliamo che cresca e quale invece è bene che si riconverta. Inoltre, in un mondo globalizzato giocoforza i conti vanno fatti con l'intero pianeta e con mercati che hanno attenzione alla sostenibilità pari a zero e che perlopiù sono comandati da una finanza spietata che determina ormai persino i leader dei governi.

Dal nostro punto di vista, quindi, appare evidente la necessità di un modello di sviluppo diverso che ri-porti subito i mercati al servizio dell'uomo con una lotta senza quartiere alla finanziarizzazione in atto, affiancata da una politica industriale nazionale "interamente ecologica" ma che sia contemporaneamente parte integrante di quella Europea. Da soli dalla crisi non se ne esce, tantomeno si può pensare di cambiare il modello di sviluppo per renderlo sostenibile. Per questo le sette proposte di Sbilanciamoci! di cui abbiamo già discusso ci sembrano più costruttive che in passato e soprattutto possono trovare una sponda almeno sul piano della discussione con la Commissione Ue. Commissione che, attraverso il suo vicepresidente Antonio Tajani (nella foto), a Cernobbio ha presentato un piano di crescita europeo che è come minimo buono per avviare un confronto di alto livello.

Tante le proposte davvero sostenibili contenute nel documento, altre molto meno ma che vale la pena discutere fino in fondo. Con un merito di fondo: l'industria sostenibile per la Commissione è gestione efficiente dell'energia ma anche della materia, cosa assolutamente non comune nella nostra ormai lunga esperienza in questo campo. E da portare avanti anche con un metodo e un'impostazione cogente: «Per raddrizzare la barra verso un disegno più coordinato e rimettere al centro la manifattura - spiega il Sole24Ore di oggi -, la Commissione europea adotterà il prossimo 10 ottobre una Comunicazione che avrà come obiettivo prioritario fermare la deindustrializzazione. Il documento, come accaduto con la Strategia energetica 20-20-20, conterrà per la prima volta una griglia puntuale di indicatori - di cui parliamo più avanti - e di target comuni per l'industria europea».

«In particolare - si legge sul quotidiano di Confindustria - , la Ue intenderebbe utilizzare gli ultimi dati statistici, relativi al 2011, come soglia al di sotto della quale non si potrà scendere: 18% di quota del manifatturiero sul Pil (inclusa anche una parte delle costruzioni), 18% anche per gli investimenti, 13% per la quota di Pmi che investono all'estero. La Comunicazione, alla quale sta lavorando il vicepresidente e commissario Ue all'industria Antonio Tajani, potrebbe alla fine anche alzare l'asticella e fissare per la manifattura in Europa il target del 20 per cento».

La comunicazione in parte è stata spiegata dallo stesso Tajani a Cernobbio nel suo discorso che alleghiamo in originale (vedi link in fondo) e che parte da un'analisi del contesto condivisibile soprattutto quando afferma che: «I dati economici 2013 sono ancora sconfortanti. La seconda fase della crisi si sta rivelando non meno grave della prima, e ancora non si vede una chiara via d'uscita. Le pressioni che i mercati continuano a esercitare sull'Europa sono anche il risultato della scarsa lungimiranza dimostrata, almeno a partire dall'ultimo decennio, da politiche nazionali e comunitarie incapaci di scelte coraggiose, coerenti con la moneta unica e la progressiva globalizzazione; e che hanno portato a una graduale perdita di competitività e di base industriale. L'eccesso d'indebitamento e la sfiducia dei mercati sono, più che la causa, il risultato di queste mancate scelte. I meccanismi speculativi che stanno mettendo in ginocchio l'Europa sfruttano problemi strutturali di perdita di base industriale e divergenze competitive, sia all'interno dell'Ue che nei confronti di alcune economie emergenti. Se non daremo risposte credibili alla crisi di fiducia sulla capacità di tornare a marciare spediti, rischiamo di dover ridimensionare il nostro tenore di vita e perdere le conquiste del modello sociale europeo».

Poi le proposte, anch'esse più che condivisibili quando si afferma che «Competere con la Cina, l'India o il Brasile sulla quantità o, con prodotti a basso valore aggiunto, è utopistico. Per tornare a crescere bisogna puntare su prodotti a forte valore aggiunto, di qualità, innovativi, legati a ricerca e sviluppo tecnologico; e in grado di dare risposte ai problemi di sostenibilità e scarsità di risorse derivanti dalla crescita demografica ed economica mondiale. In altre parole, l'Europa deve puntare con convinzione alla leadership della nuova rivoluzione industriale in atto. Invertire il processo di de-industrializzazione è stato considerato un tabù, fino a poco tempo fa. Ha dominato l'illusione che l'economia europea potesse basarsi su finanza e servizi - lasciando agli emergenti il "lavoro sporco" del manifatturiero "inquinante" e ad alta intensità di lavoro. Finalmente stiamo tornando alla realtà: senza industria si perdono anche i servizi e la capacità d'innovare; l'economia si desertifica e non si riesce più a creare lavoro. Il piano crescita europeo deve dunque consentire all'Europa di affrontare le sfide e cogliere le opportunità della rivoluzione industriale in atto, di adattarsi a un concetto di produttività sempre più legato all'efficienza delle risorse e a nuove tecnologie e processi di produzione digitali e meccanizzati, oltre che su sistemi d'infrastrutture moderne ed integrate».

Ciò che poi a noi interessa maggiormente è la nuova strategia industriale, con Tajani che ha ribadito la proposta di «rendere la nostra industria più efficiente e sostenibile» con numeri a supporto assai interessanti: «Tra 1990 e 2010 le emissioni in Europa si sono ridotte del 15.5% malgrado una crescita del 41%, anche grazie a progressi nell'efficienza delle risorse. Ogni punto di aumento di efficienza nell'uso delle risorse vale 23 miliardi e 150.000 nuovi posti. Puntare sull'innovazione nell'efficienza vuol dire sfruttare questo potenziale». E su questo percorso si inserisce la strategia ‘Costruzioni 2020' - presentata a luglio da Tajani - che punta sull'innovazione nella concezione degli edifici, nei materiali edili e apparecchi tecnici: «Il 40% dell'energia viene consumata negli edifici. La nuova edilizia dovrà - anche in linea con gli obblighi della direttiva sull'efficienza energetica degli edifici, essere molto più sostenibile e sicura».

Poi il fondamentale capitolo dell'innovazione per facilitare l'accesso alle materie prime per l'industria. «Per aumentare la produzione interna - ha detto Tajani - la Commissione a febbraio ha proposto un partenariato per l'innovazione su prospezione, estrazione e trattamento». Qui un punto dolente dal nostro punto di vista, dato che si vuole «sfruttare giacimenti anche a profondità di 500-1000 metri per un valore stimato a 100 miliardi», in quanto non si spiega e non si valuta l'impatto ambientale che questo comporterebbe, mentre il criterio direttore dovrebbe sempre essere quello della sostenibilità.

Così il nostro plauso va all'altro punto della strategia, ovvero: «Le nuove tecnologie possono trovare sostituti a materie prime» e «migliorare il riciclaggio dei 17 kg di rifiuti elettronici prodotti annualmente da ogni europeo». Non solo, Tajani sottolinea anche che «la prima rivoluzione industriale è spesso associata all'utilizzo del vapore, del carbone, per far muovere le macchine; poi è cominciata l'era del petrolio. La nuova rivoluzione dovrebbe accompagnare, con lo sviluppo tecnologico, proprio l'uscita graduale dagli idrocarburi, un utilizzo più efficiente e sostenibile di risorse sempre più scarse. Più in generale, tutta l'economia sta subendo profonde trasformazioni, con nuove tecniche di produzione basate su tecnologie digitali, materiali avanzati, tecnologie abilitanti fondamentali, scienza del genoma, spazio, robotica, rinnovabili e riciclo».

La politica industriale integralmente ecologica italiana interna a quella Europea deve quindi necessariamente puntare al settore del riciclo tutto, non solo quello relativo ai Raee, ed è qui che farebbe davvero il salto di qualità dando una risposta concreta alla richiesta di un più efficiente ciclo integrato dei rifiuti, lanciando contemporaneamente l'industria del riciclo che ha notevolissime potenzialità.

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