La scusa dell’anti-politica e la crisi planetaria ed europea… sperando che vinca Hollande

[ 4 maggio 2012 ] da Greenreport
Umberto Mazzantini
Mentre in Gran Bretagna i laburisti recuperano alle elezioni amministrative, il voto delle elezioni presidenziali francesi del 6 maggio viene presentato (e temuto), in caso di vittoria del socialista Hollande, come il primo passo per uscire dalle sabbie mobili della crisi europea, da anni di dominio di un conservatorismo venato di populismo (e che spesso con i populisti si è alleato) che è riuscito a far credere che la colpa dei mali economici, della disoccupazione, della crisi ambientale, della mancanza di futuro dei giovani, era dello Stato Sociale e non dell'ipercapitalismo, che ha utilizzato la globalizzazione per liberare le merci e la produzione e diminuire diritti e tutele.
Probabilmente le elezioni in Grecia, Italia, Germania (nello Schleswig-Holstein il 6 e nella Renania del nord-Vestfalia il 13 maggio) e in Olanda, dove il governo di centro-destra è crollato sotto il peso di un'austerity che è risibile in confronto a quella greca ed italiana, restituiranno un mosaico molto più complesso di quello francese semplificato dal secondo turno, e forse vedremo i conservatori che hanno allevato la tragedia greca con lo spreco delle Olimpiadi e truccando i conti dello Stato tornare trionfalmente al potere, magari sostenuti dai rinascenti movimenti neofascisti e nostalgici dei bei tempi della dittatura dei colonnelli.
Il quotidiano di Amburgo Die Zeit, dopo aver evidenziato il disperato allontanamento elettorale di Sarkozy dal rigore della Merkel e il pericolo di una svolta populista ed antieuropeista in Grecia, sottolinea: «Una cosa è certa: le consultazioni che si svolgono in Europa sono oggi tanto importanti quanto un'elezione in un Land tedesco. Tenuto conto delle ripercussioni di queste elezioni al di là delle frontiere, si potrebbe addirittura immaginare che gli elettori tedeschi partecipassero, anche in modo parziale, per esempio con un voto su cinque, alle elezioni olandesi e francesi, ovviamente a condizioni di reciprocità. Si può infine fare un'altra considerazione: anche se si presenta come la donna forte d'Europa, Merkel non sarebbe probabilmente eletta presidente dell'Ue da parte dei cittadini europei. Se fosse eletta direttamente dal popolo tedesco, l'attuale cancelliera otterrebbe la maggioranza dei voti, ma per gli imperativi particolare che prevalgono in Germania a causa dell'attuale coalizione, malgrado la sua popolarità Merkel potrebbe vedersi ben presto privata del potere. In altre parole, Merkel guida un'Europa che non può escluderla, ma rischia di essere costretta a lasciare il potere dai tedeschi - che in fin dei conti non hanno alcuna voglia di mandarla via. Dal punto di vista della legittimità democratica, tutto questo è quanto meno strano, per non dire assurdo. Ma è un argomento molto interessante».
E' proprio la qualità della democrazia (e della risposta democratica) che la crisi europea sta mettendo in dubbio. Anche se si sgombra il campo dalle due eccezioni greca ed italiana di commissariamento della politica (e fra poco resteremo l'unica eccezione) è tutta l'Europa ad essere terremotata da uno sconvolgimento che sembra non trovare sbocchi se non nella nascita di movimenti spontaneisti a sinistra e nel rafforzamento nella destra neofascista o dichiaratamente nazi-fascista. I grandi partiti sembrano impreparati a raccogliere i cocci di una crisi che è frutto delle politiche liberiste della destra e del cedimento politico ed etico della sinistra, spogliatasi dei suoi ideali per seguire la sterile idea di un pragmatismo che ha trasformato i militanti in amministratori e l'orizzonte ideale di una società più giusta nell'angusto giardino di casa circondato dai cancelli eretti dal vero protagonista della politica mondiale: quell'inconoscibile ed inavvicinabile potere finanziario che muove l'economia planetaria e che ha molti ed altisonanti nomi e cognomi che governano, non eletti, le nostre vite e il futuro dei nostri figli e del pianeta.
Nemmeno la bruciante lezione del capitalista premier dell'Italia, nonostante il siparietto di Hollande e Sarkozy che facevano a chi era meno amico dell'ormai intoccabile Berlusconi, sembra servita da antidoto all'antipolitica. Crollato, sotto i colpi degli scandali sessuali e della corruzione, il campione dell'antipolitica, molti suoi epigoni sembrano pronti a prenderne il posto, con meno soldi e la stessa faccia tosta e gli stessi argomenti dei leghisti finiti nel fango insieme al Trota che scudisciavano col cappio i "ladri" di Roma. .
Come scrive su Internazionale Michael Braun, corrispondente di Die Tageszeitung e della radio pubblica tedesca in Italia, «Da un lato la politica, il palazzo, la partitocrazia, dall'altro i cittadini, la cosiddetta società civile: anche questa contrapposizione si ripete e denota una particolarità tutta italiana. In altri Paesi il malcontento s'indirizza verso chi ha governato, per poi trovare una via d'uscita nelle elezioni e la vittoria dell'opposizione. In Italia, invece, sia la prima repubblica sia ora la seconda sono finite per implosione: non sono stati gli elettori a optare per un'alternativa, ma è stato il vecchio potere ad abdicare senza che ci fosse un'alternativa pronta, in grado di mobilitare una maggioranza. Il fenomeno era già visibile, per chi lo voleva vedere, negli ultimi mesi del governo Berlusconi: la sfiducia verso di lui e il suo governo cresceva, ma non abbiamo assistito a una parallela crescita di fiducia verso l'opposizione: anzi, la sfiducia è aumentata anche nei suoi confronti».
I movimenti "libertari" come quelli dei pirati e dei grillini e, dall'altra parte, la destra xenofoba anti-islamica ed iper-occidentale olandese o i fascismi comunitari che farneticano di un'Europa del sangue sono le due diversissime facce di una stessa medaglie si cibano non di anti.-politica ma del fallimento ideale della vecchia politica. Che Grillo abbia praticamente abbandonato le sue tematiche ambientaliste per sparare a zero su una politica diventata davvero "classe" è la dimostrazione della sua nota capacità di marketing dell'invettiva ma anche il sintomo dell'incapacità di capire della sinistra, che i movimenti neo-fascisti possano riproporre le loro idee nazionalistiche, la loro idea di società gerarchica e corporativa e il segno del fallimento delle politiche liberiste del neo-conservatorismo che credeva di poter allevare i lupi come cani da guardia della globalizzazione.
Sarà difficile mettere in ordine i conti economici e politici dell'Europa senza cambiare la sostanza del sistema ed è questa consapevolezza e il terrore di dover avviare una riforma che cambierà le nostre vite e metterà in discussione i sacri pilastri del mercato che terrorizza la destra e la sinistra europee corse verso al centro. Il cambiamento tanto invocato da tutti è necessario, ma nessuno è in grado di dirci come avverrà, quel che sappiamo è chi paga i costi di una crescita sbagliata che ha escluso l'uomo dal suo orizzonte, di un'ideologia potentissima che ha trasformato l'ambiente e il cibo in merce e consumatori senza volto e con l'unica speranza di consumare all'infinito, che ha nascosto nella pietà i poverissimi e massacrato il pianeta nella ricerca insensata del tutto e del subito.
In questo deserto ideale, come ci avrebbero dovuto insegnare le precedenti crisi avvenute in un pianeta dove l'orizzonte del progresso si intravedeva ancora tra il sangue delle guerre, le due ali della protesta che forniscono risposte alla disperata ricerca di prospettive ed ordine ed individuano spietatamente responsabili e colpevoli, rischiano di crescere così tanto da spezzare il corpo della società senza farlo rialzare da terra. Ma la colpa non è di chi vuole volare , è di chi ci ha raccontato che questo era il mondo migliore possibile ed ora ci dice che questo è l'unico mondo possibile.
Come scrive Braun ricordando tangentopoli, «E oggi i partiti reagiscono esattamente come vent'anni fa, talvolta imbarazzati, talvolta stizziti. Imbarazzati quando viene proposto il dimezzamento del finanziamento pubblico ai partiti, stizziti quando danno del qualunquista a Grillo e al suo movimento. E poi aggiungono uno scatto d'orgoglio, soprattutto dalle fila del Pd, sottolineando che la politica è un mestiere complesso da non lasciare a dilettanti improvvisati. Non ci sarebbe nulla da obiettare contro questa difesa d'ufficio dei "politici di professione", contro questa messa in guardia di fronte a una sterile contrapposizione tra il mondo della politica sporca e una fantomatica società civile vergine e pulita. Ma il fatto è che in Italia sia i partiti di destra sia il Pd, chi più chi meno, hanno contribuito ad alimentare questa contrapposizione, ammiccando al presunto serbatoio della società civile».
Il destino della destra e della sinistra si giocherà probabilmente più che nelle urne nelle strade e nei cuori e nella mente della gente, spesso più vicino al portafoglio che al cervello, ma la sinistra potrà vincerla solo se non cederà alla semplificazione della complessità, solo se saprà (ri)parlare del destino comune dell'umanità e del pianeta con un linguaggio di progresso comprensibile e chiaro, rivolto soprattutto a chi oggi accusa di antipolitica, dopo aver desertificato il suo territorio ideale e rinunciato a cambiare il mondo. Per far questo c'è però bisogno di un'ecologia della politica e che chi non ha capito o chi voleva convincere la sinistra a fare la destra si faccia da parte, come non succede mai in Italia. Non ci resta che sperare in Hollande e nella faticosa resurrezione di un modello socialista e democratico all'altezza della crisi sociale ed ambientale del mondo, in una democrazia sociale, aperta, laica e solidale, alternativa ai fascismi identitari ed al leninismo-capitalista del modello cinese che piace tanto agli imprenditori liberisti italiani.

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