Ricerca in Italia, per fortuna, si fa ancora. Ma per quale obiettivo?

Due importanti contributi, da Pasquale Di Lena e Innocenzo Muzzalupo, sul tema dell'importanza dell'innovazione nel sistema olivicolo. Si tratta di pensieri sinergici che vanno attentamente considerati

di T N
Carissimo Alberto,
vedo, con mio grande piacere, che, con l’arricchimento di nuove interessanti idee, sta crescendo il dibattito da te aperto e questo fa capire quanto importante sia l’attenzione per la ricerca, in considerazione del peso e della priorità delle innovazioni che possono contribuire a risolvere molti problemi della nostra olivicoltura e a mettere in luce un mondo che onora e dà immagine al nostro Paese.
Contribuire sì, insieme con altri necessari e urgenti interventi e con la possibilità di valutare le altre idee che servono per impostare una corretta e lungimirante strategia di marketing, se c’è, però, un piano olivicolo nazionale punto di riferimento di piani olivicoli regionali. Un piano olivicolo da intendere come una stoffa, possibilmente pregiata, con la quale costruire il vestito della nostra olivicoltura e sulla quale poi cucire tasche o taschini e attaccare i bottoni.
E’ la mancanza di questo piano, a mio parere, che porta tutti a registrare i limiti di un fondamentale comparto, qual è l’olivicoltura, non ultimo quello della sfiducia crescente dei suoi protagonisti per colpa della pesante crisi in atto, ancor più difficile da sostenere con la crisi dell’agricoltura italiana e quella più generale del Paese. Una crisi che, da alcuni anni sta paralizzando il mondo agricolo e, di fatto, bloccando la circolazione d’idee che, come tu stai dimostrando con questo tuo invito al dibattito, ci sono e come.
Camminare con lo sguardo rivolto al passato è un errore che può costare caro nel momento in cui si va quasi certamente a inciampare, ma pensare di poter fare a meno del passato vuol dire non avere in mano la bussola che serve per segnare la rotta.
Dico questo perché diffido molto e, con gli anni sempre più, dei pro e dei contro, dell’effetto tifo per chi vorrebbe un’olivicoltura fatta tutta da nuovi impianti e per chi lascerebbe le cose come stanno. Credo che lo sforzo che serve sia quello di far convivere le due olivicolture superando la visione, per me ristretta, del solo guadagno dall’olio ricavato e non anche dal paesaggio, dal valore del tempo, dall’ambiente, dalla passione e amore per questa pianta, il valore e il significato del suo legame profondo con il territorio quale origine della qualità.
Elementi fondamentali per una strategia di comunicazione che manca alla nostra olivicoltura. Una comunicazione che, in mancanza di strategia, ha bruciato e continua a sprecare risorse pubbliche per progetti che non hanno dato, perché limitati, sia per quanto riguarda il tempo che gli obiettivi che s’intendevano e si vogliono raggiungere. Tutto ciò, nonostante la fortunata situazione di avere un mercato in grande movimento, molto attento alla qualità dell’alimentazione e alla ricchezza delle nostre produzioni, in primo luogo il vino, ma non solo. Nonostante la goccia che rappresenta l’olio extravergine di oliva all’interno del mare magnum dei grassi animali e vegetali.
Come te ben conosci e come sanno i lettori di Teatro Naturale, che l’ha raccontato in più di un’occasione, a luglio dello scorso anno è nata Vi. Te (viticoltori nel tempo), un’associazione voluta dall’Osservatorio dell’Appennino Meridionale e dalla Regione Campania, che ha come obiettivo la valorizzazione dei territori segnati da viti e vigne storiche e secolari, dei vini caratterizzati dalla saggezza del tempo che, personalmente, considero uno straordinario valore organolettico aggiuntivo a quelli propri del vino.
Posso dire che c’è un rimpianto per non essere arrivati qualche anno prima a salvare parti di una realtà andate perse con i vari Ogm del vino e con la necessità di innovare. Un rimpianto in me che ho pensato a questo eccezionale patrimonio della vitivinicoltura italiana e, soprattutto, nei soci che, consapevoli di cosa hanno ereditato, sanno il valore che ha perso la viticoltura campana e italiana con l’espianto di queste viti che, lo sottolineo, hanno il merito di saper raccontare la passione e l’amore degli uomini per la vite ed il vino e le peculiarità paesaggistico - ambientali, storico – culturali e, soprattutto, produttive.
Per fortuna che c’è la Campania! Con Napoli e Avellino in primo piano e poi Salerno, con la stupenda realtà di Tramonti, Benevento e Caserta, a dirci, insieme all’osservatori dell’Appennino Meridionale e ai suoi produttori di una viticoltura eroica, che il tempo è, al pari della natura, un bene che bisogna riconquistare insieme al piacere della sobrietà, per non essere sopraffatti dalla linearità di un percorso che ha come solo fine il profitto. Un percorso impazzito che sta mettendo a rischio la nostra voglia e necessità di pensare a cosa succederà, non fra 15-20 anni, ma domani.
Pasquale Di Lena

Gentile redazione,
l'altro giorno leggendo il Vs Teatro Naturale n. 14, 7 Aprile 2012 e con la precisione l'articolo "Per far crescere l'olivicoltura italiana c'è bisogno di idee" di Alberto Grimelli sono rimasto meravigliato del fatto che siano state pubblicate delle proposte e non si parli invece dei progetti in corso.
Per questo motivo vi scrivo, per segnalarvi che il Ministero dello sviluppo economico nell'ambito del Programma Riditt (Rete Italiana per la Diffusione dell’Innovazione e il Trasferimento Tecnologico alle imprese) “Trasferimento tecnologico dal sistema della ricerca alle imprese e creazione di nuove imprese ad alta tecnologia” sta finanziando diversi nuovi progetti.
Tra questi vi è il progetto Certolio "Certificazione della composizione varietale, dell’origine geografica e dell’assenza di prodotti di sintesi negli oli extravergini di oliva" il cui coordinatore è il sottoscritto.
Le principali attività del progetto sono rivolte a fornire alle piccole-medie del settore olivicolo-oleario:
- la possibilità di discriminare le varietà di olivo che hanno prodotto un olio extravergine;
- la possibilità di individuare le aree geografiche di provenienza degli oli;
- la possibilità di discriminare gli oli d’oliva che non siano stati ottenuti con i metodi dell’agricoltura biologica.
In altre parole fornire alle piccole medie imprese la possibilità della rintracciabilità varietale, dell'origine geografica e della tipicità del loro prodotto, cioè l'olio extravergine d'oliva.
Il costo del progetto è di circa due milioni di euro finanziati per il 50% dal Ministero sviluppo economico e per la restante parte da partecipanti pubblici e privati.
Innocenzo Muzzalupo
Ricercatore del Centro di ricerca per l'olivicoltura e l'industria olearia (CRA-OLI)

E' raro che in Italia si sviluppi un dialogo costruttivo su un tema tanto delicato quanto può essere quello della ricerca e dell'innovazione. Purtroppo nel nostro paese abbiamo la tendenza a far polemica su tutto e quindi, inevitabilmente, a dividerci in guelfi e ghibellini. Mi fa quindi molto piacere che in questo caso non sia così e si possa procedere sulla linea del ragionevolezza e della pacatezza. Pasquale Di Lena ha perfettamente ragione quando sottolinea che il Piano Olivicolo Nazionale manca di ambizione e di una spinta propulsiva. E' positivo che, dopo quasi trent'anni dall'annuncio, l'Italia se ne sia dotata ma era lecito aspettarsi un progetto a lungo termine per l'Italia olivicola e olearia. In realtà, vi è una precisa fotografia dello stato attuale ma poche ricette per il futuro. Continuiamo a guardarci indietro, ma camminare avanti. Che inciampiamo noi o che ci sgambetti qualche concorrente, poco importa. Il risultato sarà lo stesso. Occorre e si può fare di più. Sono convinto che la nostra classe dirigente, dai politici, all'associazionismo ai funzionari locali, gli intellettuali del settore, i tecnici e gli operatori possano ciascuno offrire un contributo. Starà poi a un tavolo di confronto e di dibattito, che abbia anche una visione e un quadro internazionale, fare una sintesi. La ricerca è un aspetto che reputo non secondario in un siffatto Piano Olivicolo Nazionale. Direi che ne è al tempo stesso le fondamenta e il cemento, dovendo fornire risposte che, come abbiamo compreso dai contributi pubblicati fin qui, spaziano dalla coltivazione all'estrazione, al marketing.
Per fortuna la ricerca olivicola, pur in carenza di organizzazione e sinergia nazionale procede. Vi sono progetti interessanti in corso, molti dei quali sono stati presentati sulle pagine di Teatro Naturale. Innocenzo Muzzalupo segnala quello di cui è capofila, con merito e orgoglio. L'argomento è estremamente attuale e con notevoli ricadute su diversi piani, dalla tracciabilità al marketing. Non è il solo progetto che prevede di ottenere gli obiettivi citati (discriminazione varietà, luogo produzione, oli da agricoltura bio), ve ne sono altri in giro per l'Italia. Già citato lo studio della Prof.ssa Baldini. Comparsa sulle pagine di Teatro Naturale anche la sperimentazione dello Iasma per una banca dati nazionale degli oli italiani. Mi chiedo quindi quanto potrebbero giovarsi, simili progetti, tutti con uno stesso obiettivo, di una maggiore sinergia e integrazione, scambiandosi dati, campioni e informazioni non solo “a bocce ferme”, ovvero a risultati pubblicati, ma anche a ricerca in corso.
Parliamo di ricerca e parliamone a tuttotondo, senza nascondere le criticità, ma evidenziando assolutamente i rischi, purtroppo tenuti un po' nascosti, di un progressivo declino dell'innovazione olivicola e olearia italiana. Parliamone, scopriremo magari che riorganizzando i fondi dispersi in mille rivoli, si può realmente costruire un Piano Olivicolo Nazionale che consenta di guardare lontano. Il sottoscritto su Teatro Naturale ha deciso di aprire una finestra. Non mi aspetto certamente miracoli. Non mi attendo che compaiano dal nulla milioni di euro. Ma è meglio forse stare zitti?
Alberto Grimelli
di T N

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