LETTERA A ALBERTO GRIMELLI


Carissimo Alberto,

Vedo, con mio grande piacere, che, con l’arricchimento di nuove interessanti idee, sta crescendo il dibattito da te aperto e questo fa capire quanto importante sia l’attenzione per la ricerca, in considerazione del peso e della priorità delle innovazioni che possono contribuire a risolvere molti problemi della nostra Olivicoltura e a mettere in luce un mondo che onora  e dà immagine al nostro Paese.

Contribuire sì, insieme con altri necessari e urgenti interventi e con la possibilità di valutare le altre idee che servono per impostare una corretta e lungimirante strategia di marketing, se c’è, però, un piano olivicolo nazionale punto di riferimento di piani olivicoli regionali. Un piano olivicolo da intendere come una stoffa, possibilmente pregiata, con la quale costruire il vestito della nostra olivicoltura e sulla quale poi cucire tasche o taschini e attaccare i bottoni.

E’ la mancanza di questo piano, a mio parere, che porta tutti a registrare i limiti di un fondamentale comparto, qual è l’olivicoltura, non ultimo quello della sfiducia crescente dei suoi protagonisti per colpa della pesante crisi in atto, ancor più difficile da sostenere con la crisi dell’agricoltura italiana e quella più generale del Paese.  Una crisi che, da alcuni anni sta paralizzando il mondo agricolo e, di fatto, bloccando la circolazione d’idee che, come tu stai dimostrando con questo tuo invito al dibattito, ci sono e come.

Camminare con lo sguardo rivolto al passato è un errore che può costare caro nel momento in cui si va quasi certamente a inciampare, ma pensare di poter fare a meno del passato vuol dire non avere in mano la bussola che serve per segnare la rotta.

Dico questo perché diffido molto e, con gli anni sempre più, dei pro e dei contro, dell’effetto tifo per chi vorrebbe un’olivicoltura fatta tutta da nuovi impianti e per chi lascerebbe le cose come stanno. Credo che lo sforzo che serve sia quello di far convivere le due olivicolture superando la visione, per me ristretta, del solo guadagno dall’olio ricavato e non anche dal paesaggio, dal valore del tempo, dall’ambiente, dalla passione e amore per questa pianta, il valore e il significato del suo legame profondo con il territorio quale origine della qualità.

Elementi fondamentali per una strategia di comunicazione che manca alla nostra olivicoltura. Una comunicazione che, in mancanza di strategia, ha bruciato e continua a sprecare risorse pubbliche per progetti che non hanno dato, perché limitati, sia per quanto riguarda il tempo che gli obiettivi che s’intendevano e si vogliono raggiungere. Tutto ciò, nonostante la fortunata situazione di avere un mercato in grande movimento, molto attento alla qualità dell’alimentazione e alla ricchezza delle nostre produzioni, in primo luogo il vino, ma non solo. Nonostante la goccia che rappresenta l’olio extravergine di oliva all’interno del mare magnum dei grassi animali e vegetali.

Come te ben conosci e come sanno i lettori di Teatro Naturale, che l’ha raccontato in più di un’occasione, a luglio dello scorso anno è nata Vi. Te (viticoltori nel tempo), un’associazione voluta dall’Osservatorio dell’Appennino Meridionale e dalla Regione Campania, che ha come obiettivo la valorizzazione dei territori segnati da viti e vigne storiche e secolari, dei vini caratterizzati dalla saggezza del tempo che, personalmente, considero uno straordinario valore organolettico aggiuntivo a quelli propri del vino.

Posso dire che c’è un rimpianto per non essere arrivati qualche anno prima a salvare parti di una realtà andate perse con i vari Ogm del vino e con la necessità di innovare. Un rimpianto in me che ho pensato a questo eccezionale patrimonio della vitivinicoltura italiana e, soprattutto, nei soci che, consapevoli di cosa hanno ereditato, sanno il valore che ha perso la viticoltura campana e italiana con l’espianto di queste viti che, lo sottolineo, hanno il merito di saper raccontare la passione e l’amore degli uomini per la vite ed il vino e le peculiarità paesaggistico - ambientali, storico – culturali e, soprattutto, produttive.

Per fortuna che c’è la Campania!  Con Napoli e Avellino in primo piano e poi Salerno, con la stupenda realtà di Tramonti, Benevento e Caserta, a dirci, insieme all’osservatori dell’Appennino Meridionale e ai suoi produttori di una viticoltura eroica, che il tempo è, al pari della natura, un bene che bisogna riconquistare insieme al piacere della sobrietà, per non essere sopraffatti  dalla linearità di un percorso che ha come solo fine il profitto.  Un percorso impazzito che sta mettendo a rischio la nostra voglia e necessità di pensare a cosa succederà, non fra 15-20 anni, ma domani.

Pasquale Di Lena

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