Ero un ragazzo, nel sessantanove

Ero un ragazzo nel sessantanove;
c’era la marcia dei duecentomila,
faceva caldo in quell’autunno caldo,
più caldi erano i cuori e le speranze...
Piazza del Popolo vestita a festa...
e sul palco svettavan le bendiere
dei nostri sindacati uniti e forti.
Stavamo per scalare un po’ di cielo
e lo scalammo contro la barbarie,
e lo scalammo contro gli schiavisti,
contro i padroni e i servi dei padroni
che ci volevan proni e umiliati,
chinati come schiavi ai loro piedi.
Firmammo nel Settanta il Grande Accordo:
sessantacinque lire d’aumento
per ogni ora: uno storico evento,
una conquista senza precedenti!
E riducemmo i turni a quarant’ ore,
solo quaranta ore a settimana!
Toccammo il cielo e in coro cantavamo:
“L’unità sindacale non si tocca,
uniti siamo e uniti resteremo”,
mentre i padroni cupi e scuri in volto
giuravano vendetta a muso torto.
C’eran Trentin, Carniti e Benvenuto.
Uniti nella lotta i sindacati,
un solo corpo ed una sola meta:
il rispetto dovuto a chi lavora.
Tremavano i padroni rintanati
nei loro bunker: eran terrorizzati.
Tremavano i signori della setta
e fin da allor giurarono vendetta.
E venne nel Settanta lo Statuto!
Giuseppe Di Vittorio e Brodolini
con tenacia l’avevano voluto.
Fremevano i padroni, e quella setta
rimuginava la grande vendetta.
L’Articolo Diciotto finalmente
ci aveva dato la cittadinanza.
Non più sudditi e schiavi ai lor comandi,
ma cittadini a parì dignità
in quell’ Italia che dicendo “Basta!”,
lasciando la barbarie alla sue spalle
riconosceva come propri figli
tutti e non solo i figli della casta.
“Padroni!” Urlava il mitico Diciotto
“Voi non potete più licenziare
un uomo sol perchè si è iscritto
ad un partito che vi fa tremare”...
fremevano i signori della setta...
e fin da allor giurarono vendetta.
E venne, dopo tante trame oscure,
venne il momento, dopo quarant’anni
della grande vendetta dei padroni.
Brandirono la spada dello spread
per revocare tutti quei diritti,
provando a ricacciarci nei meandri
della Storia. E ci vollero sconfitti.
Ma sconfitti non siamo e non saremo:
le nostre lotte non vedranno il buio,
ai nostri figli le consegneremo.
Ragazzi del Duemila ricordate:
noi demmo il meglio delle nostre forze
per consegnarvi un futuro migliore.
Lottate, ancor lottate e poi lottate.
Lottate con coraggio e con fierezza.
Sia lotta dura! Sì, senza paura!
Lottate sempre... No, non ci tradite.
Or che vecchi noi siamo e senza forze
nella tomba vogliam scendere fieri,
fieri di quello che farete oggi,
fieri di quello che facemmo ieri.
Non vi arrendete mai! Non ci tradite!
Non meritiamo di essere traditi,
noi vecchi che in quegli anni ci battemmo
per un mondo migliore, il vostro mondo,
il mondo della pace e dell’amore,
della giustizia e della libertà.
Ragazzi del duemila, non mollate!
scendete in piazza insieme con la gente,
con gli operai, con i disoccupati,
con i precari e tutti gli sfruttatati.
Non fatevi rubare quel futuro,
non fatevi rubare la speranza
che vi demmo lottando a denti stretti
con il cuore, con l’anima e la mente.
Antonio Grano
Marzo 2012

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