LA BORA E IL RESPIRO DI ARIA NUOVA, FRIZZANTINA


Cari amici,
oggi è bora (vòreie) e si respira un’aria nuova, frizzantina, come tutto quello che viene dal nord. Una ventata salutare per l’autunno che deve spogliarsi delle sue foglie morte. Atto fondamentale per fare dell’inverno la fase di preparazione delle nuove gemme, da affidare poi alla primavera che si preoccuperà di farle sbocciare e all’estate, che ha il compito di raccogliere i frutti che l’uomo contadino avrà cura di trasformare in cibo. Pane, soprattutto, e orto in abbondanza. Il tempo del raccolto che si prolungherà con le olive per fare dell’olio il compimento, o se volete, il condimento che lega i profumi ed i sapori e li esalta, per accompagnarsi, così, al vino.
Aria nuova, amici, tonica per la nostra mente assopita da falsi vènti che hanno avuto il solo merito di seccare i nostri fiori più belli, i valori, e di intaccare la nostra identità, il territorio, che è il solo vero bene che ci appartiene, la nostra risorsa rigeneratrice, quella che ci porta a sognare e a gustare le prossime stagioni ridando al tempo il suo ruolo di filo conduttore che lega le une alle altre le stagioni, i passaggi della vita di ognuno, che nessuno può bloccare, soprattutto quando è in fiore.
Il tempo, quel bene bruciato sull’altare del consumo e dello spreco che ha prodotto solo facili illusioni, guerre, disuguaglianze, fame, morte e perdita di libertà per milioni, miliardi di uomini vittime di un mondo impazzito dall’avidità del soldo e del potere che, non sapendo cosa sono le stagioni, ne ha fatto scempio e, così, ha rubato tanta vita alla stessa terra, che nessun animale ha mai maltrattato, solo l’uomo, l’ultimo arrivato.
Aria nuova e vino, sì vino, per scacciare quelle bevande pessime che ci hanno dato per ubriacarci e droghe per annullarci.
Sveglia, amici, è tempo di riprendere il cammino e di trovare, tutt’insieme, con il dialogo e la voglia di partecipare, un percorso nuovo da fare. Quello vecchio, come possiamo vedere, ci porta verso la fine, il baratro.
Sono sufficienti il pane e l’orto, conditi dei valori dell’olio e accompagnati da quelli che sono in un bicchiere di vino, voglia di cantare per andare seguendo gli antichi tratturi, sopra le nostre dolci colline, lungo il nostro piccolo grande mare e sulle cime alte del Matese e delle Mainarde per capire quanto è bello questo nostro piccolo Molise che conosce bene la bora e tutti gli altri vènti e sa dove ospitarli tra il Biferno, il Fortore, il Saccione, il Trigno e il Volturno.
L’ospitalità che è ancora nei nostri cuori e nella nostra mente come il tempo che qui cammina con passi lenti e non si lascia condizionare da piazzisti o imbonitori, solo da invidie, superstizioni e stupide divisioni. Limiti che possiamo superare facilmente solo se lo vogliamo.

Basta “incantare” il malocchio che, grazie all’ottimo olio extravergine di oliva, alle acque cristalline qui, nel Molise, ha un potere particolare, e, per cancellarlo, le buone forbici di Frosolone. Ci manca solo il sale marino. Nessun problema, basta andare dove si andava un tempo con il carretto (u traine) a Margherita di Savoia, lungo il Tavoliere che affianca il Gargano, il promontorio dove rifugiarsi (altro che in Francia!) per salvarsi nel 2012 dalla fine del mondo.
Il Molise quale significativo esempio per l’Italia che vive, oggi, quanto noi il piacere della bora come un senso di liberazione.
 Ahhhh! Finalemte!


Pasquale

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