L'INIZIATIVA

Dove siete donne? Diciamo: «Ora basta»
Sono sicura, so con certezza che la maggior parte delle donne italiane non è in fila per il bunga bunga. Sono certa che la prostituzione consapevole sia la scelta, se scelta a queste condizioni si può chiamare, di una minima minoranza. È dunque alle altre, a tutte le altre donne che mi rivolgo. È il momento di rispondere forte: dove siete, ragazze? Madri, nonne, figlie, nipoti, dove siete. Di destra o di sinistra che siate, povere o ricche, del Nord o del Sud, donne figlie di un tempo che altre donne prima di voi hanno reso ricco di possibilità uguale e libero, dove siete? È il momento di dire: «Ora basta».

Concita De Gregorio

Le minorenni ad Arcore, i festini, le buste con i biglietti da 500 euro. Un quadro che non solo imbarazza sul piano istituzionale ed espone al ridicolo il nostro Paese nel mondo. Ma che rivela una concezione dell'universo femminile che toglie alla donna la sua dignità.

Sul web e nelle piazze cresce la mobilitazione che ha preso il via dall'invito sopra riportato di Concita De Gregorio direttore de l'Unità, e Repubblica.it ha deciso di dare voce allo sconcerto e all'indignazione delle donne. Di tutte coloro che vogliono mettere la propria faccia e le proprie parole in questa battaglia per dire basta all'Italia dei Sultani e delle donne a pagamento e a disposizione. Un'iniziativa ora aperta anche all'altro sesso: "Sono uomo e mi indigno anch'io".


Zanardo: rialziamo la testa, tutte insieme
Oltre 72mila per l'appello dell'Unità: firma anche tu
L'Intervento di Lorella Zanardo

Studiavo a Monaco di Baviera, avevo vent’anni e guardavo le mie amiche tedesche con un misto di ammirazione e stupore. Quando mi veniva proposto qualcosa che non mi convinceva del tutto, quando mi si invitata da qualche parte che non mi interessava, riuscivo sì a rifiutare, ma il mio era sempre un «No... grazie... scusa ma... no» e sorridevo imbarazzata, lo sguardo basso, preoccupata di non essere così più gradita.

Benedikte, al contrario, guardava l’interlocutore fissa negli occhi e emetteva un sonoro e serissimo: “Nein, danke”. Lottavo contro una timidezza innata, ma non era solo quella la ragione del mio disagio, lo sentivo. È che a lei, a Benedikte, sembrava non importare molto del consenso del suo interlocutore, almeno non più del suo personale benessere, le era chiaro cosa la facesse stare bene e cosa no: di conseguenza si comportava.

Ho ripensato spesso alla mia amica tedesca in questi due anni di militanza sul territorio, mesi in cui ho portato nelle scuole e nelle associazioni, nelle università e nei dibattiti il video Il Corpo delle Donne e il progetto di media education Nuovi Occhi per la TV.

Ho incontrato migliaia di donne di tutte le età e con loro ho provato a rispondere alle domande che pongo nel documentario: «Perché non ci ribelliamo? Perché non scendiamo in piazza? Perché accettiamo questa umiliazione continua?».

Perché non di sesso si tratta ormai ma di umiliazione che viene proposta dalla nostra televisione a tutte le ore: donne schernite, donne riprese con la telecamera ginecologica, donne a quattro zampe e appese come prosciutti, ragazze derise da presentatori anziani e goliardi.

Mi interessano le risposte delle donne normali, non solo di quelle impegnate, non di quelle che alle manifestazioni ci sono sempre andate, non delle intellettuali. Mi interessano le risposte delle maestre silenziose, delle casalinghe, delle anziane che paiono invisibili, delle ragazzine, di quelle donne di cui mai si parla e che però rappresentano la maggioranza della popolazione.

Trenta anni di trasmissioni che hanno avuto come leit motiv il nostro corpo oggettivizzato ci hanno rese complici: abbiamo guardato quelle i m m a g i n i c h e lentamente colonizzavano il nostro immaginario e davanti a loro ci siamo piegate docilmente: quanto è stato più facile in fondo ubbidire alla dittatura mediatica, quanto è stato più facile dimagrire, gonfiare, tirare piuttosto che capire chi eravamo e cosa poteva farci stare realmente bene.

Abituate da secoli a non renderci sgradite e ad aderire ad un modello che non comporta bizzarrie di liberazione: potresti non essere più una brava moglie, una brava madre, e lo sappiamo quanto male faccia sentirlo insinuare.

«Per prendere coscienza, ci vuole tempo ed energia. Io alla sera sono stanca morta», mi dice un’amica e ha ragione: le donne italiane lavorano in media 2 ore in più al giorno rispetto alle altre donne europee; quelle due ore sono quelle che servirebbero a prendere coscienza, ad informarsi, a crescere.

«Di che cosa abbiamo paura?», ripeto da due anni. Perché può solo essere una gigantesca, enorme paura che ci ha fatto accettare l’inaccettabile sino ad ora. E oggi mi pare di comprendere che è stata la paura di perdere il consenso, la paura di non essere più volute, accettate.

Una orribile paura del rifiuto che ci costringa ad essere sole. “Schiave Radiose” stigmatizza Lea Melandri. Schiave di un’approvazione che potrebbe non arrivare, che potrebbe tardare e, nell’attesa, costrette a sembrare orribilmente radiose, e però lo sappiamo che da quel tipo di schiavitù non potrà sorgere nessuna autentica luce.

«Io lo dico che quella tv mi offende, che quelle donne non mi rappresentano », mi dice una diciassettenne a scuola «ma poi mi scherzano, mi dicono che sono invidiosa, che lo dico perché non sono bella come loro...».

Ragazze amiche compagne: se non ora quando? Se non prendiamo ora la paura per il collo, se nonproviamo a superarla imparando di nuovo a fare rete e a trovare supporto una dall’altra, vicine, insieme a molti uomini che sentono la giustezza della nostra denuncia, se non approfittiamo del momento propizio per dire: Basta! Basta a una dittatura mediatica che ha imposto un modello unico di donna che non ci assomiglia mache è diventato modello per troppe ragazze che hanno avuto la tv come unica maestra..

Basta ad una politica che è solo spettacolo e che non ci rappresenta. Basta alle quasi bambine divenute merce di scambio. Basta al corpo televisivo: andiamo incontro ad una nostra personalissima ricerca: un altro corpo è certamente possibile. Se non ora, quando? Proviamo a dirlo il 13 febbraio il «Nein, danke» che le donne europee stanno già dicendo.



"Sono uomo e mi indigno anch'io"

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