LA SVEGLIA


Leggendo qua e la' n. 162 -
La politica molisana ha così profondo rispetto per il Natale che non c’è niente che possa distrarla dai saluti e dagli auguri alle autorità di suo riferimento, ai colleghi di questo o quel consiglio, agli amici di partito più fidati (in pratica quelli che non sono concorrenti), agli elettori che l’hanno portato ad assumere un ruolo che quasi mai viene rispettato, ai potenziali elettori per le nuove avventure elettorali, ai familiari ed agli amici di un tempo che si possono incontrare in piazza con la mano tesa per un saluto e gli auguri a portata di bocca.
Una festa particolare che riporta ai tempi in cui la famiglia aveva un particolare significato che il Natale esaltava; si riusciva ad appagare, almeno per un giorno la fame di tutti gli altri giorni dell’anno; si sentiva il bisogno di stare insieme, giocare, ridere e scherzare nel segno della più grande libertà e della gioia di vivere. Per un giorno, quel giorno, era così ed è quel giorno che torna in mente, soprattutto ai molisani, in modo particolare.
Una festa così sentita che richiede grande concentrazione e non permette distrazione di nessun tipo, anche quella di sapere che sta cadendo il mondo o che è scoppiato un problema che riguarda la salute dei cittadini nel momento in cui si invita la gente a non bere l’acqua del rubinetto perché inquinata.
C’è un allarme ritardato e, per di più diffuso attraverso mezzi obsoleti, che parla del rischio di un avvelenamento generale, se si continua a usare l’acqua della diga del Liscione, che colpisce tutto il Basso Molise, e nessun politico parla perché è Natale. C’è tempo per farlo e, come quasi sempre succede, arriva dopo gli spari della notte di Natale.
Ecco i primi risvegli, quelli di oggi, per esempio, con alcune dichiarazioni sui blog e sui giornali.
Ci sono le prime richieste di dimissioni di questo o di quell’altro, mai che uno, anche per dare l’esempio, annunci la sua. Mai!
Tutto questo perché è passato Natale e, nell’attesa del cenone di fine anno, c’è tempo per animare il teatrino delle chiacchiere che, se tutto va bene, può essere ripreso benissimo dopo la Befana.
Intanto la questione acqua rimane soprattutto perché nessuno è in grado di spiegare.
In questi giorni, i pastori sardi, che non si può dire non hanno la testa dura, riprendono a manifestare con la polizia che li manganella come fossero criminali. Un pastore che è costretto ad abbandonare il proprio gregge, a scappare da qualche parte per vedere come campare, è una biblioteca di libri rari che va distrutta e che nessuno mai potrà recuperare come la quercia ultrasecolare tagliata l’altro giorno in contrada Fara. Ma, come dice il ministro Tremonti, la cultura non si mangia, il formaggio pecorino sardo eletto a eccellenza gastronomica Dop, si mangia ed è anche buono, anche se pizzica a quelli che hanno la erre moscia.
La gente disperata in mancanza di risposte, ha cominciato a scrivere a Napolitano, l’unica istituzione credibile in circolazione nell’era di Berlusconi che copre le sue prepotenze e restringe gli spazi di libertà con una democrazia formale. Vorrebbe togliere anche la forma, ma, per ora e per fortuna, vive la Carta Costituzionale, la sola che può rimettere insieme i cocci di questo Paese.
Si è ricomposta la coppia Belpietro-Feltri e la macchina spargi letame ha ripreso a funzionare. La cosa che più ci ha colpito è il ragionamento di questo falso attentato e cioè che Fini si lasciava anche ferire (torna la madonnina in faccia a Berlusconi) in cambio di 200 mila euro non da un esaurito, ma da un delinquente di professione. Il nostro giudizio su Fini è peggio di quello che avevamo di quando era fascista, ma non abbiamo mai pensato a una persona scema come è scema quella che lo accusa per far vendere il giornale e quelli che comprano e leggono i giornali di questi due signori.
Salutiamo l’anno tremendo, il 2010, che sta per finire, con un pensiero ai genitori di Yara, esempio di comportamento civile e di riservatezza nel dolore, ai quali auguriamo con tutto il cuore che Yara torni a ridare loro un po’ della serenità perduta, in tutto questo tempo che non è stata ritrovata.


A voreie

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