W LE RANE

se uno passa per il nuovo parcheggio, nato vecchio, del centro storico, subito dopo il calar della sera, gli viene di cantare, parafrasando una stupenda canzone dialettale larinese, “E’bballe pa peschiere è nate n’armonia ruospe e ranocchie vanne ‘mpazziie ca se vonne marità”.
Un coro di rane, un gracidare, con toni così alti, che non avevamo mai sentito prima, né al cigno né al fiume, e, neanche nelle pozzanghere dei tanti rivoli e valloni che segnano il territorio larinese.
Non sappiamo se è la peschiera che amplifica questo canto, unico e monotono, delle rane, come si sa animali anfibi, cioè capaci di stare a lungo nell’acqua e di respirare all’aperto, su una ninfea che affiora con il suo fragile fiore; oppure è quel luogo stupendo, l’inizio del valloncello, che ci riporta lontano nel tempo. All’orto di zia Adelina, al fuso di zia Loreta e, quasi ultimo, all’orto di zio Eugenio e agli oliveti dei Cristinziani e, poco più in alto, dei Galuppi ad ombreggiare le erbe officinali di Don Emilio, il farmacista detto anche speziale. Un lungo anfiteatro di memorie, il valloncello, che aveva in alto una discarica (u mbuorze) dove i ragazzi nascondevano le tagliole per una padellata di passerotti e, anche il terminale di una fogna, che partiva da “a cruecélle” o, anche, “ngopp’u pónte”, situata nella curva prima della sopraelevazione della falegnameria Di Paolo ( il tenore ufficiale della cattedrale), distante qualche centinaio di metri da “a cròce”. Questa, con la sola scritta INRI, era posizionata sopra un monticello segnato da tre o quattro scalini in terra battuta, a fianco all’attuale officina Nigro, poco lontana dall’allora Ara frentana che aveva un significato con i ruderi, le colonne e le pietre ben sistemate a ricordare il grande passato della capitale dei Frentani.
Ora in eterno abbandono, a dimostrare che il passato è solo un vanto a parole, ma anche che chi ha amministrato questa città non si è posto mai l’impegno per dare ad essa un minimo di decoro.
Oggi, parlare di decoro, è solo una perdita di tempo, visto che non esiste nella mente degli attuali amministratori e di quei tecnici che si vantano di aver lasciato la cabina dell’Enel a coprire l’epigrafe affissa su un lato dell’entrata del Comune.
Ritornando al gracidare forte delle rane ed al coro possente del loro canto, che copre quello melodioso, allegro dell’usignolo e, nelle ultime sere, quello dell’assiolo, diciamo che ci troviamo di fronte all’opera incompiuta di un posteggio che pure è costato un monte di soldi. Vive come in un crescente abbandono, pieno di sterpi e di erbacce secche, con strutture in cemento armato incomplete, aperte, a significare la mancanza di idee per come poterle utilizzare per un mercato dei produttori agricoli, un bagno e un piccolo bar o anche altro se una riesce a pensare a come organizzare i luoghi, la città. È anche mettere in atto un gesto di ospitalità per i forestieri che arrivano a Larino.
E allora, di fronte al niente, al vuoto di idee e di iniziative, ben vengano le rane con il loro gracidare a riempire di suoni la notte e quel rifugio di flora e di fauna, che danno un senso alla vita in questo mondo di sordi.
A VOREIE

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