OLIO, TESTIMONE E VALORE DI UN TERRITORIO

Tornata Accademia dell’Olivo e dell’Olio
Campobasso 25 settembre 2009 – Università del Molise- Facolta di Agraria

Relazione di Pasquale Di Lena



Voglio iniziare questo intervento con due note di meraviglia riferite a due pubblicazioni:
quella finita di stampare a maggio e presentata in Puglia con una forte eco della stampa, “L’ulivo e l’olio”, edito dalla Bayer, della collana “Coltura e Cultura”, ideata e curata da Renzo Angelini, un’opera omnia, interessante, che, come diceva un mio grande maestro affoga in un bicchiere d’acqua. Nelle 175 pagine dedicate al paesaggio, il Molise è abbinato, con una minuta scheda dell’olivicoltura regionale, all’Abruzzo. come se fossimo ancora prima del 1963. Poi scompare completamente.

L’altra fa riferimento alla Enciclopedia mondiale dell’Olivo e dell’Olio, del Coi, con presentazione dell’allora segretario Luchetti, con un volume pubblicato anni fa, che ho avuto di nuovo tra le mani giorni addietro. Si parla della Spagna e l’autore per poterla definire la sola patria dell’olivo e dell’olio nel mondo, mette in atto una sottile opera di distruzione del paese maggiore concorrente, l’Italia, per citarlo come il luogo dove l’olivo arriva solo nel I° sec. d. C..

L’autore, o il coordinatore editoriale dell’Enciclopedia, non sapeva che Licinio, all’epoca dei Sanniti( iv sec. a. C.), aveva già introdotto, a Venafro, la sua terra alle falde delle Mainarde, l’olivo, sfatando la regola di quanti pensavano che questa pianta cara alla dea Minerva, non poteva crescere lontana più di 40 miglia dal mare;
che a Luras, vicino a Tempio Pausania, in provincia di Sassari, vivono due olivi, uno, quello chiamato localmente “Sozzastru”, che si può, a ragione, considerare, con i suoi 4 mila anni di vita, il padre vivente di tutti gli olivi, né sapeva di quello di 2 mila anni di Canneto, in provincia di Rieti.
Né dei patriarchi pugliesi.

Non aveva mai sentito parlare della Frentania e degli scavi archeologici, avviati da tempo, che hanno messo in luce, soprattutto a partire dal II secolo a.C., la presenza di molte “villae rusticae”, all’interno delle quali si sviluppava un’agricoltura intensiva, ricca, con un sistema di produzione fortemente incentrato su due colture, vino e olio, destinati ai grandi commerci.

Ancora prima , tra il 217 e il 216, Annibale scelse Gerione per il suo accampamento, non a caso, perché qui erano abbondanti e sicuri i rifornimenti.

Sapendo l’importanza degli olivi, in quell’epoca a Cartagine e, sapendo anche, che Annibale fu costretto ad obbligare il suo esercito a piantare olivi, mi è sempre piaciuto pensare che la scelta di Gerione fu determinata dalla presenza di oliveti tutt’intorno oltre che, naturalmente, da motivi tattici e strategici.

Per chiudere questi pochi riferimenti storici, utili a rinfrescare la memoria di chi, in quella enciclopedia, ha trattato il tema della storia dell’olivo, ricordo che nel ’66 a.C., arriva a Larino un grande dell’epoca, rimasto grande anche nella storia, Cicerone, per difendere Cluenzio, un ricco cittadino larinate. Quando l’illustre oratore racconta di questo suo viaggio parla di una città ricca e prestigiosa , con un’agricoltura fiorente e numerose attività commerciali, prima fra tutte quelle dell’olio.

Il valore ed il significato di questa coltivazione sono testimoniati dalla moneta, coniata nella Zecca dell’antica capitale dei Frentani, che riporta Minerva con un ramoscello di olivo.

È da tener presente che il Molise è la terra segnata dalle più antiche strade dell’umanità, quelle verdeggianti battute dai pastori e dagli armenti, i tratturi.
Lungo queste strade, che il Molise ancora conserva per quasi 400 Km, nelle case ancora ospitali si raccolgono i sapori di una cucina fatta di stagioni, di pascoli, di stalle e di orti, che la sapienza delle donne riesce a preparare con pochi ingredienti, esaltati da olio buono.

È l’olio il protagonista della cucina molisana, il condimento principe, a partire dal momento della raccolta, che nel Basso Molise, inizia entro i prossimi dieci giorni, fra mille preoccupazioni e rischi di un forte ridimensionamento della olivicoltura, per la crisi strutturale che colpisce l’agricoltura, e il comparto olivicolo in modo particolare, della quale parleremo subito dopo, anche se, per ragioni di sintesi, faremo solo qualche accenno.

Senza l’olio non sarebbe possibile la bontà delle bontà della cucina marinara, che il Molise prepara con il pescato del suo piccolo mare, il brodetto di Tornola alla termolese

Senz’olio non sarebbe possibile neanche gustare, di questi tempi, quelle triglie uniche “ arracanate”, e, ancora meglio, se queste deliziose triglie vengono fritte in olio extravergine di oliva, che le rende croccanti.

E’ l’olio che permette di gustare, come primi piatti i legumi, in primo luogo i fagioli.

Che dire poi di quel piatto che d’estate permette di mettere, in una padella, a cuocere tutte insieme le abbondanze dell’orto in un mare di olio, ormai già maturo, con il sentore della mandorla dolce che prende il posto del carciofo o del pomodoro acerbo, meno spigoloso nel gusto: la ciabotta o ciambotta o, anche, una ricca insalata a base di lattuga.

Solo alcuni dei tanti piatti che bastano per spiegare la centralità dell’olio, protagonista, anche, delle feste ed delle antiche tradizioni, che qui si conservano in ognuno dei 136 paesi che formano il Molise. Una tra le tante, sicuramente la più importante in quanto a rappresentazione della cultura contadina, la Tavola di S. Giuseppe, il 18 e il 19 marzo, quando le pignatte di terracotta lasciano negli ampi focolari cantare i legumi e poi gustare il piatto della sera, chiamato “a pezzènte” , composto da almeno quattro varietà, tra le quali, la cicerchia, e olio.

La vera tavola viene preparata il giorno dopo, con 13 portate, un numero che si ripete, in ricordo dell’ultima cena, rigorosamente tutte a base di magro, legarsi l’una all’altra, grazie a un filo d’olio.

La natura della Regione, per l’55.3% e più montano e il resto (44,7%) colline, soprattutto alte, con piccolissime pianure (ormai quasi tutte interamente coperte da nuclei industriali), vede lo sviluppo dell’olivicoltura a macchia di leopardo con la fascia collinare, che va dal Trigno al Fortore, a ridosso del mare, a significare la fascia più olivetata, con la Gentile di Larino che fa da padrona, a rappresentare il 25% dell’oliveto regionale, insieme ad altre importanti varietà autoctone, come la Cerasa e la Olivastra di Montenero, molte delle quali sostituite, nel dopoguerra, dal leccino; la Rosciola e la Cellina di Rotello; l’Oliva nera di Colletorto, la Noccioluta di S. Giuliano di Puglia, la San Pardo e la Salegna, ancora di Larino; poi l’area che da Venafro porta ad Isernia, dove domina l’Aurina insieme altre varietà autoctone, in particolare lo Sperone di Gallo, la Cazzarella. Ma là dove il microclima lo consente, vedi Agnone e Poggio Sannita, l’olivo segna il paesaggio, insieme alle minute vigne che hanno rubato ai boschi un po’ di spazio.

La stessa architettura e lo sviluppo delle città e dei paesi molisani sono stati fortemente influenzati, nel corso del tempo, dall’Olivo e così anche la cultura.
Penso a Venafro, Montenero di Bisaccia, Riccia, Larino, Trivento, ma anche Colletorto, Rotello , S. Elia a Pianisi e altri ancora.

Un valore grande per tanti territori ed anche un importante testimone, l’olivo con il suo olio, che rischia di perdere il suo prestigio e la sua forza di fronte alle scelte di una spinta ulteriore alla cementificazione che tocca il Molise ma, in maniera più o meno accentuata, tutte le regioni italiane.

La crisi, che, dagli inizi del terzo millennio, vive la nostra agricoltura; la pesante, già devastante, crisi economica e finanziaria; la crisi dei valori con il peso crescente e assoluto del denaro; le crisi ricorrenti di mercato che toccano soprattutto le due principale coltivazioni arboree, la vite e l’olivo, aiutano a fare avanzare senza ostacoli un processo di sviluppo e, con esso, di cementificazione e spreco di territorio.

Il Molise vive tutte queste crisi con la fragilità di una Regione piccola, che ha subito, come la gran parte delle Regioni del Sud, un tipo di sviluppo raccogliendo solo le briciole

Bisogna fare presto per ribaltare la crescente diffusione di una parola d’ordine, per me pericolosa, ricorrente tra gli amministratori locali ed i produttori, che è “meno male”.
“Meno male” che c’è il progetto della Diga di Piani dei Limiti. Meno male che ci sono le pale eoliche e il fotovoltaico che pagano i terreni e sostengono le casse comunali. “Meno male” che c’è chi ha bisogno di terreno per fabbricare, o, anche, solo per essere occupato come discarica di rifiuti di qualsiasi genere.

Una parola d’ordine che presenta e testimonia una realtà, quella del mondo contadino, tinta di sfiducia, che rischia di sfociare in rassegnazione.

Un mondo, purtroppo, non solo nel Molise, abbandonato a se stesso, che trova in queste situazioni estreme, non importa cosa, fosse anche una centrale nucleare o un sito di scorie, la possibilità di uscire, con onore, dal ciclo produttivo.

Un mondo, forse il solo che ancora conserva i valori, come quello della parola o del rispetto.

Un mondo abbandonato dalla cultura dominante che l’ha sempre posto ai margini e ha considerato l’agricoltura un’attività residuale e non centrale, strategica, soprattutto per un nuovo tipo di sviluppo. Soprattutto oggi, quando essa prova, tra la disattenzione generale, a dimostrare questa sua centralità e, insieme, la sua modernità e attualità.

Se è vero, com’è vero, che è il territorio lo scrigno che raccoglie la storia, la cultura, il paesaggio, l’ambiente, i prodotti della zootecnia, dell’agricoltura e del bosco, le tradizioni, in primo luogo quelle legate alla bontà della cucina, cioè un insieme di valori e di risorse che esprimono la identità di ognuno.

E se è vero, anche, che agricoltura e zootecnia vogliono dire cibo, alimentazione, cioè la sola possibilità di appagare i bisogni primari dell’uomo.

Se è vero tutto questo c’è da chiedersi come mai l’uomo si adopera o rende possibile, con la sua indifferenza, la distruzione della sua identità e della attività che mette a sua disposizione il cibo?

Gli ultimi dati parlano del rischio di chiusura, in Italia, di un’azienda su tre se non si mettono in atto misure straordinarie urgenti per salvare l’agricoltura e il Paese da questa catastrofe che, però, solletica quanti hanno bisogno di grandi superfici per grandi speculazioni e cospicui affari.

Nell’ultimo anno, l’unica programmazione messa in atto nel Paese è una imponente colata di cemento che porta a ridurre, come dicevo, fortemente la superficie coltivata e il numero delle aziende agricole, soprattutto coltivatrici. Un processo già avviato che bisogna fermare cominciando a lanciare l’allarme con la stessa forza con cui l’hanno lanciato per l’ambiente, due giorni fa, il segretario dell’Onu e il presidente americano.

C’è bisogno di svolte radicali per riprendere in mano il timone e ridisegnare la rotta.
I palliativi servono solo a creare illusioni ed a far perdere tempo.

L’olivicoltura, che paga anche le pesanti responsabilità di chi nel corso dei decenni l’ha affossata e portata alla situazione attuale, ha bisogno di una svolta decisa, senza la quale non si salva, ma affonda ancor di più.

Le possibilità ci sono se c’è la volontà di affrontare alla radice i problemi che attanagliano questo comparto fondamentale, se si pensa alle aree interne ed a quelle marginali, per la salvaguardia e la tutela del territorio.

L’olivicoltura non può continuare a navigare a vista, in mancanza di un piano di settore e di un dialogo tra i vari soggetti all’interno della filiera; senza una progettualità e gli obiettivi che si vogliono raggiungere; senza gli olivicoltori che, oggi più che mai, hanno bisogno di un forte associazionismo per sostenere gli impegni imposti dal mercato, sia pure solo locale; senza un’analisi attenta e aggiornata della situazione. I dati

Bisogna studiare a fondo le possibilità di ridurre i costi di produzione per affrontare meglio la concorrenza, ma non bisogna dimenticare di portare a galla peculiarità che, sul mercato, rappresentano tanti valori aggiunti che interessano il consumatore.

Penso alle potenzialità delle 37dop e della igp e i caratteri di questi oli che hanno una denominazione che, oltre a certificare l’origine, assicura che essa è il frutto di una scelta dei produttori e delle istituzioni, che impone dei comportamenti a partire dall’ autocontrollo; è sottoposto al controllo e, quindi, il bollino che certifica la denominazione è una garanzia per il consumatore, nel momento in cui, però, si ha la voglia di spiegare tutto questo.

Lo sviluppo vero, quello che porta lontano, il solo che può dare un futuro di stabilità e benessere a questa Regione (e, ripeto, all’intero Paese, non solo al Molise) sta nella capacità di salvaguardare e tutelare il territorio, la sua risorsa primaria, e i testimoni importanti di questo territorio, in primo luogo l’olio con i suoi olivi.

Questa scelta la reclamano le sue peculiarità, come la forte ruralità, la ricca biodiversità, la sua natura di città-regione, le minute ma interessanti risorse per un turismo d’èlite e non di massa.

Questi caratteri sono la forza del Molise, uno straordinario patrimonio culturale ed economico da spendere e non da sprecare.

Dentro questo progetto di salvaguardia e tutela del territorio il ruolo decisivo, fondamentale dell’olivo, che di questa terra è da sempre, ancor più di ogni altra produzione, uno straordinario valore, un testimone, come prima dicevo, qualificato, importante, decisivo per l’immagine stessa della Regione.

Quella immagine che è tutta da conquistare ( ecco il significato della mia introduzione polemica) per dare al Molise uno sviluppo turistico a 360°, con possibilità per l’ospite di viverlo tutto l’anno, grazie al gusto ed alle bellezze.

E’ di pochi giorni fa la chiusura di un’esperienza che ho avuto la possibilità e la fortuna di vivere in prima persona, quella della Maratona del gusto e delle bellezze d’Italia, organizzata da Casa Italia Atletica, la struttura operativa della Fidal, con tappe a Vienna e in Germania, dove i seminari sugli oli extravergine di Oliva Dop e Igp, hanno avuto un significativo successo proprio nella parte che ha portato all’attenzione dei partecipanti la cultura che sta alla base di un riconoscimento dop e igp.

Un piano olivicolo che dia forza a adeguate strategie di marketing, mettendo insieme risorse come l’atletica, che possono aiutare a far recepire subito il messaggio che si intende comunicare per un maggior consumo dell’olio e, in modo particolare, di quello extravergine di oliva.

Che dire poi di quello straordinario valore della biodiversità che pone l’Italia al primo posto nel mondo, con le 400 varietà autoctone sparse sull’intero territorio nazionale ad eccezione della Regione Val d’Aosta e Piemonte.

Un numero quasi doppio dell’intero patrimonio mondiale, che ne conta 236, da sfruttare ai fini della promozione e della commercializzazione, dando fondo agli oli monovarietali, per aggredire con i fatti la concorrenza.

In questo senso l’idea di una Olivoteca d’Italia, una azienda olivicola costituita da tutte le varietà autoctone, che non vuol essere un altro campo catalogo, ma un punto di riferimento per quanti vogliono scoprire gli olivi e i territori di origine, degustare l’olio e gli oli, approfondire la cultura di un comparto che ci appartiene più di ogni altro.

Mercoledì prossimo, a Roma, il primo incontro preliminare per la costituzione dell’Associazione che deve promuovere, realizzare e gestire questa nuova realtà.

L’idea, anche, di un centro regionale permanente del gusto e delle bellezze del Molise, come pure di una Università dell’Olivo e dell’Olio da fare a Larino, capitale delle Città dell’Olio, per aver dato i natali , nel 1994, a Larino, all’Associazione Nazionale che, oggi è rappresentata dagli eletti di oltre 350 territori di tutte le Regioni italiane interessate dall’olivicoltura.

Il Molise, nel campo olivicolo, parla al Paese anche con altri risultati e iniziative:due campioni italiani di potatura (lo scorso anno il campionato si è svolto a Larino); la Regione che ha messo insieme uno dei primi panel test; quella che esprime un suo concorso, la Goccia d’oro, con i premiati che diventano vincitori in altri premi più prestigiosi, come l’Ercole oleario e il Biol; che vive con la sua Università ricerche e sperimentazioni che portano a risultati importanti e utili per il comparto.

Il Mollise olivicolo non è nato ieri, anzi, ed è quello che ha espresso novità interessanti in Italia.

E’ tempo di chiudere, non senza aver prima ringraziato gli organizzatori che mi hanno chiamato a relazionare e tutti voi che avete avuto la pazienza di ascoltarmi, non senza un “in bocca al lupo” agli olivicoltori che si apprestano ad affrontare una campagna di raccolta per niente facile, perché tutto si trasformi in una risposta che porti a ridare speranza al comparto e fiducia al consumatore, che ha bisogno di qualità e di garanzia, che il mondo dell’olio, nella sua complessità, deve assicurare.

La parola d’ordine non può essere “meno male”, ma “l’olio è il futuro del Paese e del Molise e, con esso, l’agricoltura”.

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