Non basta dire Dop, occorre esserne convinti


Produttori disponibili a patto di semplificare al massimo le procedure e di azzerare i costi aggiuntivi che mettono fuori mercato il prodotto. Perché il Mipaaf va in direzione contraria?
di Pasquale Di Lena
C’è qualcosa che non torna lungo il percorso delle denominazioni di origine, iniziato, nel 1963, con l’approvazione del Dpr 930 e con il primo riconoscimento, nel 1966, ottenuto dalla “Vernaccia di San Gimignano”, un vino bianco che ha portato fortuna al vino italiano, visto il successo dell’acronimo Doc, che, nell’arco di pochi anni, è diventato, nell’immaginario collettivo, sinonimo di alta qualità. Un percorso non facile, pieno di ostacoli, che sono stati sistematicamente superati dalle capacità e determinazione di personalità come il Sen. Desana ed altri illustri componenti del Comitato Nazionale Vini, sostenuti dalle direzioni generali del Ministero dell’Agricoltura, che hanno fatto scuola in questo campo.Un percorso che ha permesso di superare in poco tempo la tragedia del metanolo e di qualificare con il prestigio della qualità di tanti testimoni doc e, a partire dalla metà degli anni ’80, docg, territori che oggi sono punti di attrazione turistica ed esempio di quello sviluppo rurale di cui ha bisogno il Paese con il rilancio dell’agricoltura.Poi, agli inizi degli anni ’90, i due regolamenti comunitari, il 2081/92 e il 2082/92 (modificati nel 2006), con un sistema di certificazione dell’origine geografiche dei prodotti alimentari, rappresentato da Dop e Igp, due sigle che stanno a significare la protezione di un nome di un prodotto la cui produzione, trasformazione ed elaborazione devono aver luogo in un’area geografica determinata, o, di una indicazione geografica che identifica il legame con il territorio, il cui carattere distintivo è presente in almeno una delle tre fasi sopra riportate.Se in Italia, l’acronimo è Dop o Igp, in tutti gli altri paesi della Ue, questo acronimo si adatta alla lingua ufficiale, così “denominazione” – tanto per fare un esempio - in francese diventa “appellation”. Questo per dire che il processo avviato ha dato vita ad un quadro di prodotti a denominazione di origine, davvero esaltante, soprattutto per le nostre eccellenze, che registrano primati in ognuna delle 13 categorie previste per la classificazione dei prodotti Dop, Igp e, anche, Stg (formaggi, olio, carni fresche, prodotti a base di carne, etc).Su un totale di 850 riconoscimenti Dop, Igp e Stg, ben 178 (oltre il 20%), di cui 115 Dop, 62 Igp e appena 1 Stg (Specialità tradizionale garantita , nel senso che viene preso in considerazione il metodo di produzione o la composizione tradizionale non il riferimento geografico), tant’è che riguarda la “Mozzarella”, con la possibilità di poterla produrre in ogni paese Ue.Un primato, purtroppo, ancora poco considerato e, quindi, non in grado di esprimere tutte le sue potenzialità, al pari di quello rappresentato dalla biodiversità e delle produzioni biologiche. In particolare quello di dare tutte le sicurezze che oggi mancano al consumatore e che, se le cose vanno avanti così come stanno andando avanti ultimamente, la garanzia circa la qualità dell’alimento che va a mangiare, diventerà sempre più una conditio sine qua non nella scelta di un prodotto. Un consumatore sempre più certo del rapporto stretto della qualità del cibo con la qualità della sua salute. Un abbinamento che ha saputo cogliere magnificamente la Fidal, con la sua Casa Italia, quando ha fatto proprio il progetto “Maratona del Gusto e delle Bellezze d’Italia”, che, partito da Roma alla fine di Gennaio ha fatto tappa a Francoforte e Monaco e sta per raggiungere Vienna, per poi proseguire verso Amburgo e fermarsi a Berlino dove vivere, con la sua vetrina delle nostre bontà agroalimentari, i campionati mondiali di atletica leggera nel bel mezzo di un mondo dove il binomio “salute-qualità dell’alimentazione” è fondamentale per ottenere i primati nello sport.Una iniziativa promozionale che parla di Dop e Igp, di prodotti e territori certificati dall’impegno dei produttori e delle istituzioni, e, nel momento in cui fa questo, apre ad un modello di agricoltura e di produzione ad essa legato, tutto incentrato sulla qualità e sulla conservazione di pratiche fortemente radicate, capaci – anche alla luce delle indicazioni date dal recente G8 Agricoltura, vertice voluto dal Ministro Zaia - di rilanciare la competitività del settore e di affrontare con strumenti adeguati le sfide della internazionalizzazione del commercio, nel segno della garanzia della qualità ancorata ed assicurata dall’origine del prodotto.Ma di iniziative come quelle della Fidal, che vanno nel senso della promozione delle produzioni Dop e Igp, davvero un patrimonio unico del nostro agroalimentare, ce ne vorrebbero dieci, cento per avere la certezza di raggiungere qualche risultato. Come fondamentali risultano l’informazione e gli stimoli da dare ai produttori per avere poi i prodotti richiesti dal mercato. E cosa ancora più necessaria è evitare in tutti i modi iniziative che portano solo a creare confusione, nel momento in cui creano nel consumatore una immagine doppia o tripla della qualità e non sempre corretta.La mia perplessità iniziale, quella di non capire ciò che sta succedendo lungo il percorso delle Dop e Igp, sta proprio nelle indicazioni del vertice, sopra riportate, che mi trovano più che d’accordo, e nel fatto che verifico un rallentamento sul percorso delle Dop e Igp, che trovo pericoloso, ma soprattutto in contraddizione con i propositi prima citati.In questo senso, insisto, la necessità che il Ministero eviti di affidare ad altri i controlli che sta facendo da dieci anni, e in modo encomiabile, per la semplice ragione che le Dop e le Igp i produttori sono disposti a farle, ma solo se vengono semplificate al massimo le procedure ed i controlli e, soprattutto, se vengono azzerati i costi aggiuntivi che, il più delle volte, mettono fuori mercato il prodotto. E ciò, soprattutto, per dare ai produttori la forza di credere che si può uscire da situazioni di crisi, dovute a tanti fattori, ma non ultimi quelli riferiti al marketing in tutti i suoi aspetti, soprattutto quelli della informazione, della comunicazione, della promozione e valorizzazione dei prodotti e, insieme, dell’origine degli stessi, cioè il territorio. Gli organismi che si occupano ci sono e i risultati, dicono che sono all’altezza del compito. Si tratta di entrare nel merito di alcune questioni e di concordare una strategia di comunicazione e promozione delle produzioni Dop e Igp, in Italia e nei Paesi Ue, senza dimenticare tutti gli altri, utilizzando il mondo medico, quello dello sport e altri testimonial per affermare un modello di agricoltura che è quello italiano, anche perché il solo che noi possiamo esprimere.Tutto questo per arricchire il percorso di risultati e non per impoverirlo e, alla fine, interromperlo, facendo tornare indietro il discorso, proprio nel momento in cui basta poco per accelerarlo e renderlo patrimonio di un mondo, che vede insieme produttori e consumatori dialogare nel reciproco interesse, tanto più in questa nostra Italia che non ha, per una serie di ragioni, la possibilità di presentarsi con le quantità, ma solo di offrire eccellenze, cioè Dop e Igp.Promuoverle vuol dire rafforzare il dialogo, di cui prima parlavo, e, nel contempo, far crescere la cultura della qualità e della corretta alimentazione, fondamentale per riportare l’agricoltura al centro dello sviluppo, il solo modo per salvaguardare e tutelare le bellezze dei nostri territori. Per credere a quello che sto dicendo basta porre attenzione alla situazione disastrosa dell’olio extravergine di oliva con la Spagna, ormai diventata sottolio, che sta impoverendo e facendo rischiare la nostra olivicoltura. E allora, cominciamo dall’olio, subito, e facciamo di esso un esempio per tutti gli altri prodotti, sapendo che non basta solo dire 100% italiano per dare quelle garanzie di cui ha bisogno il consumatore, in particolare la tracciabilità e, con essa, la certificazione della qualità che la Dop e la Igp assicurano.
di Pasquale Di Lena
da Teatro Naturale del 16.05-09

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