Il VINO “TINTILIA”, TESTIMONE IMPORTANTE DEL MOLISE
di Pasquale Di Lena

Torno sull’argomento Tintilia, il grande vino rosso molisano, che si vuole frammentare in una serie di tipologie che non hanno niente a che vedere con questo vino che, dopo decenni di tentativi da parte di alcuni pazzi sognatori, ed a fatica, si è riuscito a farlo diventare il testimone della vitivinicoltura molisana.
Lo faccio stimolato dall’intervento di Michele Tanno, uno dei padri putativi della Tintilia e, comunque, quello che ha messo più impegno di tutti per riportare questo vino a galla e renderlo, insieme ai produttori, un protagonista dell’agroalimentare molisano. Un intervento che aspettavo subito dopo il Vinitaly, dove, da quello che mi è stato riferito per non esserci stato, c’è chi ha presentato una tipologia di vino diverso dal vino rosso “Tintilia del Molise” o “Molise Tintilia” doc, e gli ha dato il nome “Tintilia”, creando non solo una illegalità, ma una confusione nel consumatore. Una situazione che non fa bene ad un vino simbolo o, se volete, “genius loci”, come qualcuno dice, della vitivinicoltura molisana che, non ancora ha fatto i primi passi per affermarsi su un mercato complesso e difficile, come quello del vino, che già c’è chi ha pensato di cambiare i suoi connotati.
So bene che la scelta di cambiare questi connotati, riportati da un disciplinare di produzione che ha poco più di dieci anni dalla sua approvazione, non riguarda un singolo produttore, ma la maggioranza e che essa è sostenuta anche dalla Coldiretti.
Si dà il caso che la scelta fatta, come ho già avuto modo di precisare con un altro articolo di qualche tempo, dal titolo volutamente forte “Giù le mani della Tintilia”, è un errore che pagherà la Tintilia ed il Molise, ancor prima dei produttori. Mi fa piacere sapere che Tanno la pensa come me e così, anche, Donato Campolieti, presidente provinciale della Cia, che è intervenuto con un articolo successivo al mio grido di allarme.
Una scelta, quella delle modifiche apportate al disciplinare di produzione della doc “Tintilia del Molise”, che dimostra una totale mancanza di analisi del percorso portato avanti fino ad oggi, a partire dalla uscita, agli inizi del nuovo secolo, della prima bottiglia di Tintilia, e, soprattutto, degli errori fatti lungo questo percorso. Non offendo nessuno se dico che è mancata la necessaria attenzione al marketing e che è venuta meno, nella gran parte dei cinque o sei produttori di questo vino, l’umiltà che, nel caso specifico della Tintilia, riguardava un prodotto del territorio molisano abbandonato da tempo e ridotto a poca cosa nel tempo.
L’umiltà è una dote che pochi hanno, essenziale in un campo difficile come il marketing del vino, per portare un consumatore a porre l’attenzione per un vino, fino a meno di dieci anni fa, sconosciuto, totalmente sconosciuto, dagli stessi produttori molisani. Un consumatore, si badi bene, che ha la possibilità di poter scegliere, solo pensando all’Italia, tra migliaia tiplogie di vino raccolti nelle 357 denominazioni di origine, di cui 41 docg, e nelle altrettante migliaia di tipi di vino a Igt.
Per esempio è mancanza di umiltà e, quindi, un errore pensare che il tuo vino, appena nato, possa mantenere il passo di vini che hanno decenni di anni, a volte secoli, da raccontare, ma c’è di più, hanno notorietà e sono apprezzati anche dal consumatore esigente. Per poter affiancare questi vini ci vogliono anni di grande e proficuo lavoro nella vigna, in cantina e sul mercato. Non basta il completamento di alcune prime operazioni, come la bella bottiglia, l’etichetta e il nome, indispensabili, ma non sufficienti, per presentarsi al giudizio del consumatore. È importante, anzi fondamentale, la assoluta qualità del prodotto, e, subito dopo, la promozione e la valorizzazione della immagine dello stesso, soprattutto all’interno di un programma concordato con il pubblico, sulla base di un rapporto qualità – prezzo, che tenga conto, però, del fatto che il prodotto non è ancora conosciuto. Altrimenti risulta incomprensibile al consumatore e, prima ancora che a lui, al ristoratore o al rivenditore e distributore. Ciò che è successo alla Tintilia e alla fatica trovata quando si è andata a riproporla.
Aver pensato che la Tintilia non aveva niente da invidiare ad un ottimo Chianti classico o a un Barolo o altro vino noto e diffuso, può anche andare se ciò stimola entusiasmo, ma aver accreditato al vino Tintilia un prezzo uguale o vicino a questi grandi vini, ha segato le gambe a questo importante vino molisano, per la ragione prima, lo ripetiamo, che nessuno lo conosceva. Un ristoratore o un distributore, lo stesso consumatore, nel momento in cui aveva la possibilità di scegliere, ha ritenuto più giusto, a parità di prezzo scegliere il prodotto già affermato, dopo aver valutato la caduta di attenzione dovuta alla novità.
Basta chiedere a uno dei tanti bravi ristoratori molisani la fatica che ha fatto e fa per vendere una bottiglia di Tintilia, soprattutto a un consumatore esperto.
Un errore che si vuole far pagare, ora, alla Tintilia, privando questo vino delle sue potenzialità di poter stare in compagnia dei grandi vini italiani e, con essi, vivere il dovuto successo.
Ma perché questo accada bisogna recuperare quella umiltà che è mancata e, in più, esprimere una capacità, sia del privato che del pubblico, di fare marketing.
È con la dovuta umiltà che, personalmente, dico che bisogna prendersela con se stessi e lasciare stare la Tintilia. In particolare soprassedere sulla proposta di modifica del disciplinare perché cosi come si intende trattare questo nostro vino, si finisce col distruggerlo una volta per sempre e, comunque, a renderlo poca cosa e, quindi, scarsamente utile per i produttori e l’immagine del territori.
Ecco perché grido ancora più forte di quando ho fatto con l’articolo di qualche mese fa, giù le mani dalla Tintilia e pensare, invece, alla ricerca delle soluzioni possibili per darle nuova immagine e, con essa, nuova forza ad un vino che ha tutte le possibilità di fare da motrice al treno del vino molisano e dello stesso Molise.




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